La caserma della polizia di Citè al Amal, nel governatorato tunisino di Gabes, é stata assaltata e incendiata, durante la notte, da centinaia di disoccupati inferociti. L’assalto è stato preceduto da violenti scontri tra disoccupati e agenti di polizia e della gendarmeria. I manifestanti hanno bloccato le principali strade d’accesso della città, paralizzandone il traffico per ore.
E’ solo l’ultimo episodio di una situazione esplosiva dopo la morte, giovedì a Tataouine, di un dirigente di Nida Tounes, un partito laico di centro appena costituitosi con lo scopo di togliere agli islamici il controllo del paese.
Senza che le forze di sicurezza intervenissero per impedirlo, un corteo del partito islamico e delle altre due forze politiche che compongono la maggioranza – Ettakatol e il Congresso per la Repubblica – si è trasformato in un assalto a una sede delle forze laiche, con gruppi di persone urlanti che scimitarre e bastoni alla mano hanno assaltato un edificio ed hanno letteralmente linciato Lotfi Naguedh.
In seguito, il Ministero dell’Interno controllato dagli islamici di Ennahdha ha fornito una versione dei fatti che, alla luce dei numerosi video che ritraggono quanto accaduto, sembra voler coprire le responsabilità nell’accaduto della “Commissione per la protezione della rivoluzione”, un organismo para-ufficiale e contiguo proprio ad Ennahdha al quale il governo ha affidato molte e vaghe competenze. A scatenare la rabbia della famiglia di Naguedh e dei vertici di Nidaa Tounes è stata la sospetta velocità con cui il Ministero dell’Interno ha liquidato la morte del dirigente politico come conseguenza di un infarto, tacendo sui numerosi colpi che l’uomo ha ricevuto durante l’aggressione nella sede dell’Unione regionale degli agricoltori e dei pescatori di Tataouine, di cui era segretario locale. Dopo le proteste il governo ha dovuto disporre una nuova autopsia del cadavere dell’uomo. Il suo viso, già nei video resi pubblici, appariva gonfio, con zigomi e arcate sopracciliari chiaramente segnate, una ferita alle fronte, epistassi da entrambe le narici, e sul collo inquietanti segni di compressione.
La tensione nel paese resta altissima, anche perchè si avvicina la data del 23 ottobre, giorno in cui si dovrebbe concludere ufficialmente il lavoro dell’Assemblea Costituente spaccata tra islamici e laici. Secondo i partiti di opposizione da quel giorno il governo provvisorio egemonizzato da Ennhadha cesserà di avere qualsiasi legittimità ma il partito confessionale ha già affermato che il mandato del governo sarà esteso fino alle prossime elezioni legislative.
In previsione di possibili scontri di piazza, durante la notte l’esercito tunisino ha montato delle barriere di filo spinato attorno al palazzo dell’Assemblea costituente e ad altri edifici governativi.
Intanto i rappresentanti di alcune delle più antiche confraternite religiose sufi della Tunisia hanno protestato per l’ennesima volta contro la violenza dei gruppi salafiti che, negli ultimi mesi, si è abbattuta contro mausolei e luoghi di culto considerati dagli estremisti islamici simboli dell’idolatria.
A scatenare la protesta i recenti danneggiamenti di alcuni mausolei, dedicati a uomini venerati dall’islam, ed in particolare quello che, a la Manouba, ricorda Saida Manoubia, studiosa, sostenitrice dei diritti delle donne e, soprattutto, sufi, morta nel 1257.
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