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La vendetta del Likud taglia la Cisgiordania

Tra le ipotesi anche la revoca dei documenti ai palestinesi di Gerusalemme La destra al governo accelera la colonizzazione dell’area E1 a Mevasseret Adumim, che separerebbe per sempre il Nord e il Sud di un futuro stato palestinese. Ashrawi: «Una provocazione, il mondo li fermi». Casa Bianca: «Iniziativa controproducente»
La risposta di Benyamin Netanyahu, anzi, la vendetta (chiamiamo le cose con il loro nome) è scattata puntuale, implacabile, durissima. Il governo israeliano, stando a quanto si è saputo, l’ha approvata qualche ora in anticipo sullo storico voto al Palazzo di Vetro che giovedì sera ha accolto alle Nazioni Unite la Palestina come stato osservatore. Una terribile rappresaglia che fa vibrare pericolosamente una delle corde più tese del conflitto israelo-palestinese.
Le autorità israeliane, ha rivelato il giornale Haaretz e ha poi confermato una fonte ufficiale, si preparano ad autorizzare la costruzione di tremila nuovi alloggi per coloni. Sorgeranno in una delle aree più delicate, la zona E1, sulla strada che da Gerusalemme Est porta nella Valle del Giordano, da anni al centro di un confronto molto acceso. Netanyahu passa il Rubicone perché quelle nuove case, oltre a collegare a Gerusalemme in modo permanente la colonia di Maale Adumim, la più grande della Cisgiordania (37mila abitanti), taglieranno in due la Cisgiordania, il nord dal sud.
I palestinesi non hanno neppure fatto in tempo a svegliarsi dal bel sogno realizzato con l’ingresso tra gli stati riconosciuti dalle Nazioni Unite, che già si trovano ad affrontare una sfida eccezionale. Riuscisse a realizzare anche questo progetto di colonizzazione, Israele negherebbe continuità territoriale al futuro stato di Palestina. Ecco perché in passato anche Washington aveva ammonito Israele dal realizzare la «Grande Gerusalemme» cominciando proprio dalla zona E1. Tel Aviv aveva promesso di bloccare la costruzione delle case per coloni in quell’area al momento di sottoscrivere la «Road Map», l’itinerario messo a punto una decina di anni fa dal Quartetto (Usa, Russia, Onu e Ue) per rilanciare a tappe il negoziato israelo-palestinese: una delle tante iniziative diplomatiche già nate fallite. Un anno fa si era appreso, grazie al giornalista di Haaretz, Nir Hassan, di progetti di revoca delle carte di identità a 70.000 palestinesi di Gerusalemme (da trasferire alla cosiddetta Amministrazione civile della Cisgiordania), in coincidenza con l’inaugurazione di un enorme posto di blocco nel quartiere di Shuafat a Gerusalemme Est e della costruzione di una strada per coloni di collegamento tra la Città Santa e Maale Adumim. Hassan scrisse: «Metti insieme i pezzi e ottieni il quadro di un Israele che erige, con enormi spese, un importante sistema di strade e di posti di controllo che renderanno possibile separare totalmente palestinesi e israeliani, consentendo la costruzione di Mevasseret Adumim, un quartiere che unirà Maale Adumim a Gerusalemme». Situata nell’area E1, Mevasseret Adumim, ha già strade, linee elettriche, rotatorie per il traffico e lotti di terreno per lo sviluppo.
L’annuncio della costruzione delle 3mila case non ha colto di sorpresa l’Olp, protagonista dell’iniziativa portata avanti da Abu Mazen all’Onu. «E’ un’aggressione israeliana contro uno Stato (la Palestina) e il mondo si deve assumere la responsabilità», ha protestato ieri Hanan Ashrawi del Comitato esecutivo dell’Olp. Per i palestinesi i tempi più duri devono ancora venire. L’annuncio della realizzazione del progetto nella zona E1, affermano a Ramallah, è una «provocazione» volta a testare le intenzioni palestinesi di denunciare Israele agli organi giudiziari internazionali.
Secondo le voci circolate negli ultimi giorni, il presidente Abu Mazen si sarebbe impegnato con Stati Uniti e altri paesi occidentali a non far ricorso per un periodo di almeno sei mesi alle nuove facoltà che lo status di «osservatore» all’Onu garantisce alla Palestina. «Se Israele non ha commesso crimini di guerra e contro l’umanità durante l’occupazione delle nostre terre allora non ha nulla da temere», aveva ironicamente commentato qualche giorno fa Hanan Ashrawi ad un giornalista che domandava se i palestinesi porteranno Israele di fronte ai tribunali internazionali. Questa mossa compiuta dal governo Netanyahu rischia di innescare una crisi dalle conseguenze imprevedibili.
La Casa Bianca commenta la decisione israeliana dicendo che questi nuovi progetti di colonizzazione sono «controproducenti».
Netanyahu va avanti senza esitazioni, anche perché gode di un largo sostegno popolare al quale si unisce lo scetticismo verso le trattative della maggioranza degli israeliani che, secondo un sondaggio, non crede ad alcuna prospettiva di pace con i palestinesi nei prossimi cinque anni. Stando alla rilevazione, pubblicata sull’edizione online di Yediot Ahronot, il 51% degli israeliani esprime pessimismo contro un 40% disposto a lasciare aperto uno spiraglio di speranza. E’ un trend che attraversa la società israeliana già da lungo tempo e che avrà un inevitabile effetto sulle legislative del 22 gennaio, quando la destra farà bottino pieno, almeno a dar credito ai sondaggi. Peraltro il Likud, il partito di Netanyahu, ha avuto nei giorni scorsi un’ulteriore svolta ultranazionalista e antipalestinese. Dalle primarie svolte all’inizio della settimana per la formulazione della lista dei candidati del partito, sono emersi ai primi posti esponenti della destra più fanatica come Moshe Feiglin, fondatore della corrente «Manhigut Yehudit» (Leadership ebraica) che crede solo nell’uso della forza per risolvere il «problema palestinese». «Nessuno dei primi 20 nomi in lista, a parte il primo ministro Benyamin Netanyahu» – ha notato il quotidiano Jerusalem Post – sostiene l’idea di un qualsiasi tipo di stato palestinese. Diversi tra di loro, piuttosto, coltivano stretti rapporti con coloni estremisti».
E le prospettive si fanno ancora più nere se si tiene conto che ad ottobre Netanyahu ha firmato un accordo elettorale con l’ultras ministro degli esteri Avigdor Lieberman, per una lista congiunta che prevede che per ogni due candidati del Likud ve ne sia uno del partito Yisrael Beitenu, noto per la sua intensa campagna contro arabi e palestinesi.

da “il manifesto”

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