Se nei primi mesi della guerra civile siriana, i rifugiati palestinesi e le loro fazioni politiche hanno tentato di restare fuori dalla lotta per il potere, oggi il loro intervento è palese. Nei campi profughi si è registrata una vera e propria spaccatura: da una parte i fedelissimi al presidente Bashar al-Assad (in primis il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – Commando Generale), dall’altra i sostenitori dei ribelli, per lo più giovani slegati dalle fazioni storiche.
Nei giorni scorsi le violenze si sono intensificate: domenica aerei da guerra siriani hanno bombardato Yarmouk, provocando otto vittime e decine di feriti. Ieri pomeriggio i tank dell’esercito regolare sono stati dispiegati all’ingresso del campo: le truppe non sono entrate, ma la stampa siriana riporta l’intenzione del governo di avviare un’operazione per “ripulire” Yarmouk dai gruppi di ribelli.
Secondo le stesse opposizioni, i ribelli avrebbero assunto il controllo del campo profughi: “Tutto il campo è sotto il controllo dell’Esercito Libero Siriano”, ha raccontato alla Reuters un attivista palestinese di Yarmouk, aggiungendo che molti combattenti del PFLP-GC hanno abbandonato il campo e si sono uniti alle truppe siriane.
Testimoni raccontano di continue esplosioni e colpi d’arma da fuoco: entrambe le parti stanno utilizzando ogni tipo di arma, danneggiando seriamente abitazioni ed edifici e mettendo in grave pericolo la vita della comunità palestinese. La situazione è particolarmente tesa nella zona della moschea di Abdul-Qader al-Husseini: la moschea è stata colpita domenica dalle bombe sganciate dall’aviazione siriana, uccidendo otto palestinesi rifugiatisi all’interno.
Il tentativo di stabilire un cessate il fuoco è saltato dopo che le opposizioni hanno occupato la sede del Comune del campo profughi, prima in mano ai sostenitori di Assad. Da lunedì automobili con a bordo gruppi di ribelli o combattenti palestinesi del PFLP-GC attraversano i quartieri di Yarmouk. E proprio il leader del Fronte, Ahmad Jibril, è stato ieri espulso dal Consiglio Nazionale Palestinese dell’OLP. L’accusa, aver preso parte in prima linea agli scontri, nonostante la decisione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina di non intervenire negli affari interni del Paese.
Ad esprimere maggiore preoccupazione è l’Unrwa, agenzia Onu per i rifugiati palestinesi: i 150mila profughi di Yarmouk “stanno subendo un intenso assedio armato”. Tanto da preferire la fuga verso Damasco o fuori dal Paese, direzione Libano. Sotto assedio anche lo stesso staff dell’Unrwa che non riesce a consegnare medicinali e cibo alla comunità.
La Siria ospita oltre 500mila rifugiati palestinesi, discendenti dei profughi del 1948: durante la Nakba, la catastrofe del popolo palestinese, le truppe israeliane cacciarono dalle proprie terre e dalle loro case oltre 750mila palestinesi (due terzi della popolazione dell’epoca). Le famiglie in fuga si rifugiarono nei Paesi vicini, Libano, Siria e Giordania.
Seppur costretta nei campi profughi e mai totalmente integratasi nella società siriana, la comunità palestinese – circa il 2% dell’intera popolazione siriana – ha sempre goduto di diritti simili a quelli dei cittadini siriani (a differenza del Libano, dove i profughi palestinesi sono completamente esclusi dalla società) e si è sempre dimostrata fedele al presidente Bashar al-Assad. Al trattamento relativamente favorevole riservato alle comunità palestinesi si è accompagnato il tentativo del regime siriano di controllare ed usare come strumento politico la resistenza palestinese: una politica che ha permesso di evitare la creazione di un potere indipendente palestinese all’interno dello Stato siriano.
Nel tempo, le diverse fazioni palestinesi in Siria sono diventate “sottoposte” del regime siriano, dimostrando a Damasco maggiore fedeltà di quella riservata all’OLP.
Ma con l’intensificarsi della guerra civile, sono giunte le defezioni: i campi profughi del Paese- Al Ramel Al Philistini, Yarmouk, A’ideen, Latakia – si sono divisi in due e molti attivisti si sono uniti alle file dei ribelli, per lo più giovani rifugiati attirati dalle sirene della rivoluzione.
E se fino ad ora i campi palestinesi non erano mai stati diretti protagonisti delle violenze, oggi ne diventano teatro: negli ultimi mesi, sono state decine le vittime del fuoco dell’esercito regolare o di quello dei gruppi di opposizione.
* Nena News
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