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Roboski: una strage impunita

Oggi nel Kurdistan turco ricorre un triste anniversario: si ricorda una strage, una carneficina, un brutale assassinio. Esattamente un anno fa, la sera del 28 dicembre, l’aviazione turca prese di mira, con un feroce bombardamento, un gruppo di 37 civili provenienti dai villaggi di Ortasu e Gülyazı (in kurdo Roboski e Bujeh), situati nella regione kurda della Turchia, al confine con l’Iraq. Tutti uomini, 34 di loro persero la vita; di questi,  17 erano minori. La giustificazione del governo è sempre la stessa, il sospetto che le vittime appartenessero ad un‘organizzazione tacciata di terrorismo. Di quelle 37 persone, però, nessuna era un militante del PKK o di altri gruppi della guerriglia. Si trattava invece di uomini e ragazzi nati e vissuti in un territorio povero dove l’attività di contrabbando è da sempre una delle poche fonti di sostentamento, tacitamente accettata dalle stesse forze di polizia turche. Ed infatti il gruppo rientrava in Turchia dall’Iraq con al seguito asini carichi di tè, zucchero e carburante.

I primi ed i soli ad accorrere sul luogo della strage furono  gli stessi familiari e amici delle vittime che si trovarono davanti agli occhi una scena straziante: tra la neve sporca di sangue, i copri martoriati dei loro cari.

A distanza di un anno i kurdi non possono e non vogliono dimenticare. Numerose sono le cerimonie di commemorazione che già da diversi giorni si stanno svolgendo nelle città e nei villaggi del Kurdistan turco. Ieri diverse sono state le manifestazioni: migliaia di persone sono scese in  strada, gli studenti hanno boicottato le lezioni e i negozi sono rimasti chiusi.

Esponenti della piattaforma “Giustizia per Roboski”, formatasi il giorno seguente alla strage unendo  diverse Organizzazioni e Associazioni, fra le quali IHD – Associazione per i Diritti Umani – e MAZLUMDER – Organizzazione per i Diritti Umani e la Solidarietà con le presone oppresse – , insieme a rappresentanti di alcuni partiti e singoli cittadini raggiungeranno in giornata il villaggio di Roboski per essere vicini ai familiari delle vittime che a distanza di un anno non hanno avuto ancora risposta alle numerose domande poste al governo immediatamente dopo la strage.

Nessun responsabile è stato ad oggi individuato, né tantomeno processato. Il rapporto della Sottocommissione parlamentare, istituita a Gennaio 2012 dalla Commissione Parlamentare investigativa sui Diritti Umani per indagare quanto accaduto lo scorso anno, che sarebbe dovuto essere stato pubblicato a metà dicembre non è ancora stato reso noto. Con l’“intenzione di evitare che i risultati dell’indagine siano sfruttati per scopi politici in occasione dell´anniversario della strage” secondo quanto ha affermato Ordu İhsan Şener, deputato della formazione governativa AKP – Partito per la Giustizia e lo Sviluppo – e Presidente della Sottocommissione.

Lo stesso Şener ha comunque parlato di alcuni punti evidenziati all’interno del rapporto dove si affermerebbe che l´accaduto non è il risultato di “un atto intenzionale ma di un errore” e che “non sono stati uccisi perché kurdi, si trattava di una questione specifica di sicurezza e vulnerabilità nella regione dovuta alla sicurezza nei pressi del confine”.  Altri membri della Sottocommissione appartenenti ai partiti d’opposizione hanno però dichiarato ai media che l´Ufficio del Capo di Stato Maggiore, il Ministero della Difesa e l´Agenzia Nazionale di Intelligence (MİT) si sono rifiutati di collaborare pienamente nell´inchiesta ed hanno rifiutato di rispondere alle domande e di fornire la particolare documentazione che la Sottocommissione aveva richiesto.  

Emma Sinclair-Webb, senior researcher sulla Turchia per Human Rights Watch, ha affermato che “La mancanza di progressi nel corso di un anno sul completamento di qualsiasi indagine sull´accaduto si rivela molto preoccupante perché coerente con la totale riluttanza del governo di riferire all´opinione pubblica i suoi atti illeciti” ed ha aggiunto che “ritenere responsabili le autorità statali che hanno ucciso dei civili è fondamentale per sostenere la democrazia e lo Stato di diritto”.

La strage di Roboski rimane una ferita aperta nella popolazione kurda. Insieme alle continue vessazioni che i kurdi sono costretti a subire ogni giorno (e non solo in Turchia), insieme agli arresti, alla censura della loro lingua madre e della loro cultura, quanto avvenuto lo scorso anno non lascia dietro di sé solo un estremo dolore ma alimenta, soprattutto nelle nuove generazioni sempre più consapevoli della loro identità, anche una profonda rabbia che rende il percorso verso la pace un arduo cammino.

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