Nel 2004 era stato arrestato per quei fatti un semplice coscritto. Fu rilasciato dopo aver accusato (per poi ritrattare) i responsabili del campo di concentramento dove quello e molti altri omicidi avvennero.
Per il Cile dell’impunità, dove nessuno ha mai messo seriamente in dubbio l’autoamnistia proclamata dai militari, dove il carnefice di tutto un paese, Augusto Pinochet, è morto nel proprio letto e dove perfino le commissioni per il chiarimento delle violazioni sui diritti umani, che partorirono l’Informe Rettig, dovevano esplicitamente non occuparsi dei responsabili dei crimini, è un passo avanti storico sulla strada della giustizia.
I fatti avvennero all’interno del palazzetto dello Sport di Santiago, trasformato dai militari -come lo Stadio di calcio- in campo di concentramento, e che oggi è intitolato allo stesso Jara. Víctor, sequestrato all’Università del Cile dove insegnava e dove si era recato la mattina dell’11 settembre, fu pesantemente torturato ed umiliato per giorni prima di essere crivellato da 44 colpi. Aveva 41 anni. Il suo corpo martoriato fu scaricato in un terreno abbandonato nella periferia di Santiago. La vedova di Víctor, Joan, e i due figli, hanno comunicato che preferiscono attendere qualche giorno prima di commentare la notizia.
Ci sono crimini che simboleggiano epoche intere. A Víctor Jara i militari cileni, che aprirono il cammino ai Chicago boys, spezzarono ritualmente le dita prima di ammazzarlo. Gli spezzarono le dita per umiliarlo e dargli come ultima sofferenza la certezza di sapere che non avrebbe più suonato la chitarra che aveva fatto innamorare, riflettere e lottare un continente intero. Chitarra con la quale, con parole semplici, aveva cantato la Rivoluzione pacifica delle empanadas e del vino rosso e il Socialismo di Salvador Allende.
Era il 15 settembre del 1973 quando misero a tacere la sua voce alta di cantautore, autore teatrale, militante del Partito comunista del Cile. Erano passati quattro giorni dal golpe che aveva messo fine nel sangue alla storia della democrazia cilena e all’esperienza di Unidad Popular. Ancora oggi, 39 anni dopo, l’impalcatura dello Stato in Cile è quella voluta da Augusto Pinochet nella Costituzione autoritaria tuttora vigente, scritta nel sangue dei desaparecidos e che nessuno dei governi para-democratici che da allora si sono succeduti ha avuto il coraggio di toccare.
Nelle ultime ore, tra la tortura e la morte, Víctor trovò modo di scrivere e far salvare questi versi:
Che orrore produce il volto del fascismo / Portano a termine i loro piani con precisione chirurgica / senza guardare in faccia a nessuno. / Il sangue per loro è una medaglia / I massacri atti di eroismo / È questo il mondo che creasti, dio mio? / Per questo furono i tuoi sette giorni di sorpresa e di lavoro? / In queste quattro mura esiste solo un numero / che non avanza / e che lentamente porterà la morte.
Chi scrive ebbe la ventura di assistere al primo concerto degli Intillimani nello Stadio Cile dopo che questo fu intitolato a Víctor Jara. Mi aggirai come un fantasma in quei sotterranei inseguito da ombre e spavento, ancor oggi ne sento l’angoscia che si prova in tutti i luoghi di supplizio senza pace. Ne ricordo un luogo tetro, sinistro, dalle mura ammuffite del quale sembrano continuare a gridare l’orrore i torturati e i desaparecidos. Solo la giustizia, solo la fine dell’impunità dei carnefici, solo passi come quello di ieri, possono far trovar pace a quelle mura e a quei morti e far sperare al Cile di lasciarsi alle spalle quella lunga notte.
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