Una strategia fallimentare, che sta producendo disaffezione e proteste nei confronti dell’Unione e europea. Il presidente dell’eurogruppo Jean Claude Juncker, parlando al Parlamento Ue, ha citato persino Marx per chiarire quanto sai preoccupante il problema del consenso verso questa costruzione che si sta rivelando un danno inenarrabile per il “modello sociale europeo”.
Ma lo ha fatto premettendo, come di prammatica, un messaggeto ottimistico sul prossimo futuro:
“Iniziamo il 2013 in una situazione nettamente migliore rispetto all’anno scorso, il 2012 è stato un anno di risultati positivi per la zona euro”. Si riferisce evidentemente alla situaziuone degli spread italiani e spagnoli, mentre la Grecia al momento è tenuta in vita grazie alla possibilità di riacquistare a prezzi stracciati i propri stessi titoli di stato, e dalla sempre più chiara rassegnazione tedesca a non veder più tornare indietro buona parte dei prestiti verso Atene.
Ma è stata la tenuta sociale dell’eurozona il tema centrale del suo discorso: “Bisogna ritrovare la dimensione sociale dell’unione economica e monetaria, con misure come il salario minimo in tutti i Paesi della zona euro, altrimenti perderemmo credibilità e approvazione della classe operaia, per dirla con Marx”. Citazione molto improvvisata, come si vede, ma che dice chiaramente da che parte si aspettano ormai che parta la protesta. Del resto, la situazione della disoccupazione ”è drammatica, avevamo detto che l’euro avrebbe riequilibrato la società e invece la disoccupazione aumenta”. Anche l’accenno al “salario minimo” va in questa direzione, visto che – per esempio in Italia – si pagano ormai salari ai precari che sono al di sotto di ogni qualsiasi considerazione.
Ma il fervorino ottimistico non poteva essere troppo lungo. “I tempi che viviamo sono difficili, non dobbiamo dare all’opinione pubblica l’impressione che il peggio sia alle nostre spalle perché ci sono ancora cose da fare molto difficili”. Ma anche perché, se questa impressione dovesse diventare senso comune, partirebbe inevitabilmene una raffica di rivendicazioni salariali e di welfare in tutta Europa. Mentre, al contrario, il “governo europeo della Troika” ha in programma ulteriori tagli e contrazione dei redditi da lavoro, oltre che del trittico sanità-istruzione-pensioni.
Ma c’è un punto che la dice lnga sulle difficoltà “strutturali” del progetto europeo in questa fase: “non c’é accordo sulla strada da imboccare nei prossimi anni, gli Usa e gli altri ci interpellano a proposito e noi abbiamo solo risposte di cortissimo respiro”, ha continuato Juncker. Nell’ultimo vertice Ue i leader hanno fatto osservazioni molto discordanti sulla road map descritta dai 4 presidenti Draghi, Juncker, Van Rompuy e Barroso sul rafforzamento della governance continentale.
Ma c’è di più. ”Il patto di bilancio (fiscal compact) è entrato in vigore, ma restano ancora alcuni paesi – Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo – che devono ratificarlo, e queste ratifiche non sono certe”. Singolare, non credete? Tre dei paesi più ricchi (ma il Belgio ha un debito pubblico di dimensioni simili al nostro, rispetto al Pil – si rifiutano di sottomettersi alle “regole di bilancio” che pure vogliono prescrivere per tutti i paesi più deboli. Approvato a venticinque (non l’hanno firmato Gran Bretagna e Repubblica ceca, il patto per la disciplina di bilancio e’ entrato in vigore l’1 gennaio. A oggi l’hanno ratificato solo Austria, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Portogallo, Romania, Slovenia e Spagna.
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