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Il grido di Bilbao: “presoak etxera!”


Di nuovo, come e più dello scorso anno, la parte migliore della società basca è scesa in piazza, inondando il centro di Bilbao. Per lanciare, come una sola voce, un grido di solidarietà con i 606 prigionieri e prigioniere politici baschi dispersi in decine di carceri di Spagna e Francia, e per chiedere che l’amnistia riporti a casa altre centinaia di attivisti e intellettuali che la persecuzione spagnola ha costretto all’esilio.
Che la manifestazione di ieri sarebbe stata più partecipata di quella già da record dello scorso anno – 110.000 partecipanti – sembrava difficile. Pochi giorni fa l’ambiguo Partito Nazionalista Basco aveva annunciato che non avrebbe aderito ufficialmente alla marcia per il rimpatrio dei prigionieri. L’anno scorso lo aveva fatto, ma all’epoca il PNV era all’opposizione, mentre alle recenti elezioni ha riconquistato il governo della Comunità Autonoma Basca dopo la breve pausa dell’esecutivo socialista.
Ma intorno alle 17, a mezz’ora dalla convocazione ufficiale della manifestazione da parte dell’associazione Herrira, le strade intorno al luogo prefissato per la partenza erano già invase da decine di migliaia di persone. E man mano che i minuti passavano la marea umana aumentava, inghiottendo strade e piazze con i simboli della campagna per il rimpatrio – quello che da anni tantissimi baschi espongono alle loro finestre e ai loro balconi – e con i cartelli con le foto dei propri cari tenuti in ostaggio da Madrid e Parigi, alla maniera dei parenti dei desaparecidos argentini.
Il lungo serpentone ha cominciato a muoversi sotto una pioggia scrosciante intorno alle 17,45, emozionando i partecipanti e mandando al governo Rajoy e ai regionalisti del PNV un messaggio inequivocabile: “li rivogliamo a casa”.
Basta guardare i video e le foto della manifestazione per comprendere la forza che la mobilitazione di ieri ha saputo esprimere. In testa migliaia di parenti e amici dei prigionieri, accompagnati dai furgoni e dai pulmini che ogni settimana li portano alle visite a centinaia, migliaia di chilometri da casa. Lunghi viaggi che si concludono con pochi minuti di colloquio, quando va bene. Perché a volte la visita salta, senza preavviso; ordini del direttore del carcere. E a volte, il viaggio diventa mortale, e a pagare l’accanimento e la persecuzione della classe politica di Madrid contro gli attivisti rinchiusi sono i loro amici, i loro familiari. Con la loro vita.
Il corteo scorre lentamente, è impossibile camminare spediti per quanto è intasato il percorso. Decine di migliaia di militanti e attivisti della sinistra indipendentista, con le loro bandiere trasformate in mantelli o sciarpe, per proteggersi dalla pioggia e per rivendicare la propria idea di società. Dirigenti e militanti di Bildu, di Sortu, di Antikapitalistak, dei sindacati, delle associazioni, dei collettivi studenteschi e femministi.

Giovani e anziani, donne e uomini di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali, uno accanto all’altro senza striscioni, senza divisioni. L’unico striscione a muoversi lungo il percorso è quello in testa. Dice, in basco e in inglese: ‘Giza eskubideak, irtenbidea, bakea. Euskal presoak Euskal Herrira. Repatriate all basque prisoners’ (Diritti umani, soluzione, pare. I prigionieri baschi nei Paesi Baschi). Dietro, per chilometri, tanti cittadini di altre fedi politiche – quelli del PNV, di Izquierda Unida, addirittura qualche elettore socialista – stanchi della punizione collettiva che Madrid infligge al popolo basco.

E poi anche tante delegazioni dalla Catalogna, da Madrid, da Santiago de Compostela, dall’Andalusia. A portare la solidarietà di quelle nazionalità che si sentono oppresse e di quegli spagnoli che non ci stanno a farsi rappresentare dal volto feroce e vendicativo dei giudici dell’Audiencia Nacional. E c’è anche chi è arrivato da più lontano: da Belfast, da Dublino e da Parigi. E anche una ventina di attivisti dei comitati di solidarietà con il popolo basco arrivati dall’Italia. E poi uno spezzone di cittadini e cittadine curde, a ricordare la battaglia per la liberazione per il proprio popolo e il dolore per il recente assassinio di tre dirigenti del PKK a Parigi.
Mentre la coda del corteo era ancora inchiodata nel luogo di partenza, due bertsolari – Beñat Gaztelumendi e Alaia Martin – hanno dedicato i loro versi ai prigionieri e alla lotta per la loro liberazione. Dando così inizio all’intervento finale dei promotori della manifestazione, come da tradizione sulla scalinata del municipio di Bilbao, a due passi dal dedalo di vie della parte vecchia. In euskera, francese e castigliano i rappresentanti del comitato promotore hanno chiesto a Parigi e Madrid di porre fine alla dispersione e di trasferire tutti i prigionieri baschi nelle carceri di Euskal Herria, di liberare immediatamente tutti coloro che soffrono di malattie incompatibili con la condizione carceraria, di abolire tutte quelle misure legislative – come la dottrina Parot – che concedono ai giudici la possibilità di allungare le condanne a piacimento, anche dopo che il prigioniero ha scontato la sua pena.
Alla fine gli incaricati di realizzare l’intervento finale hanno interpretato ‘Herrira noa’ (Vado a casa), una poesia scritta per l’occasione da Joseba Sarrionandia, grande scrittore e poeta costretto all’esilio perché Madrid lo considera un terrorista.
Per tutto lo scorso anno il governo spagnolo e quello francese hanno fatto orecchie da mercante, e non ha cambiato di una virgola la propria politica penitenziaria. La dispersione e la persecuzione dei prigionieri sono continuate, così come gli arresti, le denunce, le minacce. E così quest’anno i baschi hanno ribadito il loro messaggio a voce ancora più alta.

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