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Tunisia: ci vorrebbe una rivoluzione…

La protesta di alcune centinaia di giovani disoccupati a Jendouba ha causato violenti scontri con la polizia che, per disperdere i manifestanti, ha lanciato decine di granate lacrimogene ed ha fatto uso dei manganelli. Secondo quanto riferito dalle radio locali e dal sito ‘Tunisie numerique’, la polizia ha eseguito molti arresti e, nel corso della notte, decine di agenti, insieme ai militari, hanno realizzato un vero e proprio rastrellamento, casa per casa, alla ricerca degli attivisti e dei disoccupati. I manifestanti avevano anche tentato, dando fuoco a pneumatici e ponendo pezzi di cemento sull’asfalto, di bloccare la strada Ennkhal – la più importante del governatorato di Jendouba -, ma sono stati costretti a desistere dal duro intervento della polizia. La Polizia ha affermato di essere intervenuta per sventare il saccheggio di un supermercato da parte di un gruppo di giovani, ma fonti sindacali hanno categoricamente smentito quella che hanno definito una falsa notizia, spiegando che la protesta era rivolta contro la mancata adozione di misure per arginare l’elevatissima disoccupazione giovanile.

E’ in questo clima che si ‘celebra’ il secondo anniversario della sollevazione popolare che portò ad inizio 2011 alla cacciata del dittatore Ben Alì. In questi due anni di acqua sotto i ponti ne è passata molta, e il sentimento dominante in buona parte della popolazione è la delusione. Nel frattempo buona parte della classe dirigente fedele alla dittatura si è riciclata nelle ‘nuove istituzioni’, governate in modo sempre più pervasivo dal partito islamico Ennahda, che al volto moderato ha sostituito una verve spesso fondamentalista. E comunque autoritaria, visto il sempre più frequente intervento dell’esercito a fianco della polizia nella repressione violenta delle manifestazioni e della proteste popolari contro la disoccupazione, la povertà, il degrado della cosa pubblica. Negli ultimi mesi il nuovo potere ha dovuto far fronte a crescenti proteste di ampi settori della società tunisina e in più regioni, tra cui Sidi Bouzid, culla della rivoluzione, Siliana, Kasserine, Gafsa, Sfax e Ben Guerdane.
La Rivoluzione dei Gelsomini appare sempre più lontana, inconsistente, o comunque incompiuta. Ma non sembrano esserci nel paese, al di là del sindacato Ugtt e dei moti spontanei che sfociano spesso in veri e propri riots, delle forze politiche e sociali in grado, almeno per ora, di fornire un’alternativa rispetto al dominio delle nuove elite islamiste – e liberiste – installatesi al potere e foraggiate dai regimi islamisti impostisi nel resto dei paesi interessati recentemente dalle cosiddette ‘primavere arabe’.
Ieri anche le celebrazioni ufficiali si sono svolte in un clima dimesso e di tensione, in una capitale, Tunisi, pesantemente blindata da polizia ed esercito per prevenire proteste e contestazioni alle autorità. Ma comunque nella centralissima Avenue Bourghiba, cuore pulsante della città, si sono svolte massicce manifestazioni che si sono subito trasformate in una contestazione politica al nuovo regime.
Più di 8000 persone hanno circondato la sede del ministero dell’Interno, gridando slogan che ricordano quelli che caratterizzarono le sommosse di due anni fa contro il regime durato ben 23 anni grazie al sostegno dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. Sui cartelli portati in piazza si leggeva “Via Ennahda”, “No all’emergere di una dittatura religiosa”, “Il potere appartiene al popolo”.

La giornata si era aperta con una cerimonia in tono dimesso, nella Piazza della Kasbah, sulla quale si affacciano i palazzi del potere. L’omaggio alla bandiera, sulle note del poco marziale inno nazionale dei ‘tre presidenti” – della Repubblica, Marzouki, dell’Assemblea costituente, Jafaar, e del Consiglio, Jebali – che hanno poi percorso, impettiti, le poche decine di metri davanti al picchetto delle Forze armate. E poi, dopo un breve saluto, qualche stretta di mano con gli altri esponenti politici (tra cui i capi di Ennahda, Gannouchi, e Nidaa Tounes, Essebis) se ne sono andati ciascuno per la propria strada. Chiudendo alla svelta una giornata che doveva essere onorata dalla presenza di molti capi di Stato del mondo arabo e che invece è stata caratterizzata da un gran numero di defezioni. Sul fronte delle manifestazioni, hanno cominciato i partigiani di Ennahda che si sono dati appuntamento davanti al teatro comunale, da dove nei giorni della rivolta partivano i cortei contro Ben Ali. Li hanno seguiti, a ruota, i sostenitori di Nidaa Tounes, partito laico e avversario prossimo futuro del movimento guidato da Rached Gannouchi. Quando i due cortei si sono sfiorati, sono partite bordate di insulti e reciproci ”inviti” a sloggiare dalla vita politica. Altre manifestazioni sono state fatte da partiti laici e di sinistra ed anche dai membri dell’ala salafita del fondamentalismo.

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