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Benedetto XVI si dimette a fine mese

Le prime notizie collegano la decisione con i problemi di salute tipici di un uomo della sua età (86 anni), a cominciare dalla vista ormai molto debole che non gli consentirebbe perciò di lavorare sui testi (ricordiamo che Ratzinger è stato uno dei teologi di punta dell’ala conservatrice della Chiesa cattolica, al punto di essere Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, erede dell’Inquisizione).
C’è un solo precedente nella storia della chiesa, ovvero Celestino V, papa per appena 3 mesi e mezzo, nel 1294.
Lo stesso Ratzinger ha voluto presentare la sua uscita di scena come “un bene per la Chiesa”, che merita dunque un capo nel pieno delle forze.
Se questa è la motivazione, bisogna dire che si tratta di una scelta di straordinaria “modernità” da parte di un papa-filosofo decisamente conservatore. Uscendo infatti dalla consolidata tradizione che vuole un papa in carica “a vita”, Ratzinger mette qui il ruolo a misura delle forze del singolo, che è pur sempre un essere umano ancorché “rappresentante di dio” in terra. Quando le energie complessive – fisiche e intellettuali – non sono più all’altezza del compito, la permanenza nella carica diventa un danno per l’istituzione (anch’essa, nella religione cattolica, “rappresentante di dio” in terra).
Non che la storia della Chiesa sia priva di esempi di pontefici non più in grado di ricoprire l’incarico. Ma fin qui era sempre stata la gerarchia (i cardinali più potenti) a stabilire che era l’ora di cambiare cavaliere e, soprattutto, i “metodi sbrigativi” per avviare la successione.
La leggenda metropolitana, per esempio, vuole che papa Luciani sia stato l’ultima vittima di questa “selezione istituzionale”.
A noi, materialisti convinti e pure atei, non sembra perciò paradossale che proprio il campione della “conservazione” (teologica, morale, rituale, ecc), e quindi della “divinità” del suo ruolo sulla terra, modifiche di fatto – con la propria azione – l’archetipo del papa in un normale essere umano. Debole come tutti, ma che proprio per questo non deve indebolire l’istituzione e tantomeno  il messaggio con la personale, sopravvenuta, inadeguatezza. Se è “dio sulla terra”, insomma, le sue dimissioni riportano immediatamente alla dimensione umana del “rappresentante” che non può mai essere all’altezza del “rappresentato”, allo scarto irrimediabile – ma reso improvvisamente evidente – tra “l’idea del divino” e la transitorietà dell’esistenza individuale.
C’è una grandezza evidente, in questa scelta. Forse il suo “testo” filosofico più importante…
Comunque la si pensi, insomma, si tratta di un gesto che va inquadrato dentro alla più generale crisi dei pilastri stessi della civiltà occidentale.

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