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Gaza. Per «Vik», a sorpresa, il processo d’appello il 17


GERUSALEMME
Si riapre la ferita dell’assassinio di Vittorio Arrigoni avvenuto il 15 aprile 2011. Domenica prossima, 17 febbraio, davanti all’Alta Corte Militare di Gaza city, comincia, a sorpresa, il processo di appello per Tamer Hasasna e Mahmud Salfiti, condannati lo scorso settembre all’ergastolo per il sequestro e l’omicidio dell’attivista italiano dei diritti del popolo palestinese. La settimana successiva, il 24 febbraio, avrà inizio l’appello per Khader Jram, condannato a 10 anni di carcere perché colpevole di aver attivamente collaborato con i rapitori, fornendo informazioni sui movimento abituali di Vik.
Non si può non provare un forte malessere di fronte a questa notizia. I condannati, ovvio, hanno pieno diritto all’appello ma ancora una volta le autorità di Gaza, cioè il movimento islamico Hamas, non hanno diffuso alcuna informazione sulla data di inizio dell’appello. Lo stesso era avvenuto nell’estate del 2011 quando le autorità giudiziarie di Gaza svolsero, di fatto in segreto, due udienze premilinari. A fine agosto il manifesto apprese da fonti di Gaza e riferì in Italia che il processo agli assassini di Vittorio avrebbe avuto inizio pochi giorni dopo, l’8 settembre. Stavolta si è saputo del processo di appello solo grazie al «Centro palestinese per i diritti umani» di Gaza che è riuscito ad informare in tempo utile l’avvocato Gilberto Pagani, legale della famiglia Arrigoni.
L’appello, nelle speranze di famigliari, amici e compagni di impegno politico di Vittorio, dovrebbe aprire la strada al chiarimento dei tanti punti oscuri della vicenda. A cominciare dal ruolo di Abdel Rahman Breizat, il 22enne giordano che, stando alla ricostruzione dell’accaduto fatta dalla polizia e accettata dai giudici, fondò una cellula salafita per rapire uno straniero residente a Gaza.
Scopo del sequestro era quello di ottenere, in uno scambio di prigionieri, la liberazione del teorico del gruppo armato «Tawhid wal Jihad» arrestato e incarcerato da Hamas, lo sceicco al Maqdisi (poi assassinato da un drone israeliano nell’agosto 2012). Di Breizat – rimasto ucciso assieme al suo braccio destro, Bilal Omari, un paio di giorni dopo l’assassinio di Vittorio in uno scontro a fuoco con la polizia – non si è mai saputo molto. Di lui si è parlato pochissimo durante il processo di primo grado e solo perchè la difesa ha tentato inutilmente di scaricare l’intera responsabilità dell’assassinio proprio su di lui.
Gli inquirenti di Hamas non hanno neanche provato ad ottenere informazioni sul giordano che pure aveva avuto legami con gruppi armati che agiscono nel Sinai. Chi era Abdel Rahman Breizat? Un fanatico religioso che ha messo in piedi un sequestro che poi non ha saputo gestire, tanto da decidere di eliminare l’ostaggio? Oppure era un pupazzo nelle mani di una regia esterna del rapimento?
Inoltre in primo grado la procura militare e giudici non hanno chiesto agli imputati perché il (sedicente) gruppo salafita ha agito a volto scoperto pur sapendo che l’attivista italiano conosceva almeno due membri (Bilal Omari e Khader Jram).
I rapitori avevano deciso di uccidereVittorio in ogni caso, anche con la liberazione dello sceicco al Maqdisi?
Interrogativi che difficilmente avranno una risposta. Esiste il rischio concreto che il processo di appello non servirà a chiarire i punti oscuri e si rivelerà una scorciatoia per alleggerire le condanne.
Non sono un mistero le pressioni in quella direzione che le famiglie di Hasasna, Jram e Salfiti stanno facendo sulle autorità. Non è nota peraltro la procedura che sarà seguita il 17 e il 24 febbraio. Se è previsto un dibattimento, se si terranno più udienze o se i giudici militari emetteranno la sentenza subito.
Si naviga a vista, così come era accaduto durante il processo di primo grado segnato da udienze-lampo, da rinvii a ripetizione, da decisioni mai rese pubbliche.

da “il manifesto”

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