Non sarà uno di quei referendum che faranno rimanere con il fiato sospeso il mondo quello cui sono chiamati domenica e lunedì i cittadini delle isole Malvinas (Falkland per Londra) per decidere se rimanere territorio britannico d’oltremare.
Il risultato a favore di Londra, secondo gli analisti, appare ampiamente scontato. La maggior parte degli attuali abitanti del piccolo arcipelago sono per lo più britannici o comunque non hanno intenzione di passare sotto il controllo di Buenos Aires. E lo scopo del referendum, organizzato in accordo con le autorità britanniche, è proprio quello di sottolineare l’attaccamento degli isolani a Londra. Il testo del quesito e’ preceduto da una introduzione che spiega come, “data la richiesta argentina di negoziato sulla sovranità delle Falkland”, il referendum si svolge per chiedere il parere della popolazione sullo status delle isole. “C’é entusiasmo per quello che può essere un risultato molto chiaro, che poi potremo mostrare al mondo”, ha spiegato, all’agenzia di stampa Dpa, Jan Cheek, uno degli otto membri dell’assemblea legislativa delle isole, sottolineando come sia importante che ci sia una grande partecipazione al voto. La famiglia di Cheek, 68 anni, vive qui da 6 generazioni, come gran parte dei 2500 abitanti. Qui si parla inglese, vi sono le stesse cassette rosse della posta della madrepatria, la gente va al pub. E l’aspro paesaggio di scogliere ricorda il nord dell’Inghilterra.
Situate a 460 chilometri di distanza dalla costa argentina, le isole sono rivendicate da Buenos Aires in una disputa che si trascina da secoli. Nell’aprile 1982, l’Argentina governata da una dittatura militare invase le isole ma la Gran Bretagna guidata dalla non meno reazionaria Margaret Thatcher respinse l’invasione in poche settimane. Il conflitto causò ingenti vittime da ambo le parti, rendendo ancora più difficile una soluzione. La tensione si è riaccesa quando, ai primi di gennaio, la presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner ha inviato una lettera aperta al primo ministro britannico, David Cameron, esortando Londra a rispettare la risoluzione Onu del 1960, che invita i paesi membri “a cessare il colonialismo in tutte le sue forme e manifestazioni”. L’Argentina ha inoltre decisamente respinto il referendum del 10 marzo. “Al di là di una questione di pubblicità, il referendum non ha alcun valore legale. E’ un referendum che chiede a cittadini inglesi se vogliono rimanere tali” ha dichiarato il mese scorso a Londra il ministro degli Esteri argentino, Hector Timerman. A rendere più spinosa la vicenda vi è il fatto che nel 2010 sono stati scoperti nelle isole ricchi giacimenti di gas e di petrolio. Finora vivere nelle piccole isole battute dal vento non era proprio molto appetibile, e i pochi abitanti stabili vivono tradizionalmente di pesca, allevamento e turismo. La Gran Bretagna spende 200 milioni di sterline l’anno per il mantenimento di una base militare, aperta dopo la guerra del 1982.
Nei giorni scorsi, diversi gruppi di attivisti argentini si sono riuniti in una veglia a Ushuaia, sulla costa meridionale dell’Isola Grande della Tierra del Fuego, in Argentina, per protestare contro l’ingresso nel porto della nave da crociera britannica ‘Star Princess’, dopo che nei giorni scorsi aveva fatto scalo nelle isole Malvinas. “Ci battiamo per la legge ‘Gaucho Rivero’, che vieta l’attracco e i rifornimenti alle navi britanniche nei nostri porti”, ha dichiarato ai giornalisti uno studente, uno degli organizzatori della veglia. “No ormeggi a navi dei pirati inglesi”, recitava uno dei cartelli esposti dai manifestanti, con un disegno delle isole contese da Argentina e Gran Bretagna dal 1833, quando Londra se ne impossessò.
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