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Thatcher. Fu il petrolio a sconfiggere i minatori

Il “successo” della Thatcher nei confronti dei minatori non sarebbe stato possibile se – come nei decenni precedenti – il carbone fosse stato il principale combustibile usato nella produzione britannica. Iron Lady potè infatti sfruttare la fortunata coicidenza con l’entrata a pieno ritmo dell’estrazione di greggio dai giacimenti di petrolio scoperti qualche anno prima nel Mare del Nord.

Questo dettaglio è generalmente sottaciuto, per incrementare invece la favola della “durezza politica” della signora Thatcher come arma decisiva sempre e in ogni circostanza, sia per “vincere” battaglie che per migliorare i risultati economici. Ideologia allo statompuro.

L’arma decisiva, il petrolio, ha invece una storia e un ruolo interessanti anche dal punto di vista cronologico. Nel 1958 i geologi scoprirono un giacimento di gas naturale a Slochteren nella provincia olandese di Groninga e si iniziò a sospettare la presenza di petrolio nel mare del Mare del Nord. Nel 1962 furono scoperti anche i primi giacimenti di petrolio.

Prove di perforazione iniziarono nel 1966 e successivamente nel 1969 quando la Phillips Petroleum Company scoprì la Ekofisk (ora norvegese), che all’epoca era uno dei 20 più grandi giacimenti del mondo e si rilevò caratterizzata da una bassa presenza di zolfo, quindi ideale per i processi di raffinazione. Lo sfruttamento commerciale iniziò nel 1971 con le navi cisterna e dal 1975 con oleodotti diretti a Cleveland in Inghilterra e dal 1977 anche a Emden in Germania.

Lo sfruttamento delle riserve del Mare del Nord ha avuto inizio poco prima della crisi petrolifera del 1973, ma la successiva salita dei prezzi internazionali del petrolio hanno fanno sì che i grandi investimenti necessari per l’estrazione divenissero molto più interessanti (i costi di estrazione in alto mare erano e sono molto più alti di quelli “a terra”, specie in giacimenti quasi superficiali come quelli di Arabia Saudita, Kuwait e Iraq). Negli anni ‘80 e ‘90 seguirono ulteriori scoperte dei grandi campi petroliferi. Anche se i costi di produzione erano relativamente elevati, la qualità del petrolio, la bassa profondità del mare, la stabilità politica della regione, e la vicinanza di importanti mercati in Europa occidentale ha fatto del Mare del Nord un’importante area di produzione.

Con più di 450 piattaforme petrolifere, il Mare del Nord è stata la più importante regione del mondo per la perforazione offshore (poi superata dal Golfo del Messico). La sezione britannica del Mare del Nord è quella che possiede più piattaforme, seguita in ordine da quella norvegese, olandese e danese.

Nel 1999 le estrazioni raggiunsero il picco di tutti i tempi con quasi 6 milioni di barili (950.000 m³) di petrolio greggio e 28.000.0000 m³ di gas naturale al giorno. Ma negli ultimi anni alcune grandi società ne hanno interrotto l’estrazione e da quel 1999 l’importo estratto è diminuito continuamente a causa dell’esaurimento delle riserve. Questo non significa, che “sia finito”, ma che vi esaurendo. Anche la scoperta di nuovi giacimenti in quest’area – spesso enfatizzata dalla stampa filo-petrolifera – non cambia il quadro generale: le nuove scoperte sono infatti di dimensione sempre minore, molto al di sotto di quanto non sarebbe necessario per mantenere la produzione ai livelli attuali.

Come si vede, l’arco temporale dei “successi” thatcheriani contro il lavoro – prendendo di petto il loro settore più sindacalizzato e radicale – coincide quasi esattamente con la breve stagione d’oro del petrolio inglese. Qualche anno prima o qualche anno dopo, quella boria militarista contro i lavoratori si sarebbe infranta di fronte alla necessità di approvvigionarsi all’estero di risorse energetiche alternative.
La politica, insomma, può molto, ma non proprio tutto. E’ una considerazione che vale anche dal lato della rivoluzione, naturalmente.

(fonti: Wikipedia e appunti vari)

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