Opposizione all’attacco inTurchia dopo la strage di Reyhanli (59 morti nel duplice attentato di sabato, secondo la versione ufficiale) contro la politica siriana del premier Recep Tayyip Erdogan, che oggi a Washington vedrà Barack Obama e chiederà misure più aggressive contro il regime Assad. A partire dall’imposizione di una no-fly zone che Ankara chiede a gran voce ormai dall’inizio degli scontri in Siria, e che costituirebbe il preludio ad un intervento diretto delle potenze straniere contro Damasco.
Il governo turco ha accusato il governo di Damasco di essere dietro le bombe di Reyhanli, città situata a pochi chilometri dal confine sud della Turchia, abitata in prevalenza da popolazioni arabe e di origini siriane da sempre contrarie al ruolo destabilizzante di Erdogan nel paese confinante.
Dopo l’esplosione delle autobombe nel centro della città che ha provocato una strage che secondo alcune fonti è assai più grave di quella ammessa dal regime turco, le forze di sicurezza turche hanno arrestato 13 persone, che secondo la stampa turca farebbero parte di un piccolo gruppo di tendenze marxiste, Acilciler, descritto come ‘al soldo di Damasco’. L’accusa nei confronti degli arrestati è di aver compiuto o favorito l’attentato, operando al servizio di Damasco, ma il leader del gruppo preso di mira ha negato risolutamente ogni coinvolgimento nella strage, mentre la tesi del compolotto di Damasco é stata definita ”una fantasia” dal deputato curdo Ertugrul Kurku. In un primo tempo alcuni esponenti politici turchi e alcuni media avevano anche dipinto gli autori degli attentati a Reyhanli come appartenenti a fazioni curde interessate a far fallire il dialogo tra governo e Pkk, ma le smentite erano arrivate da ogni parte e infine la tesi ufficiale punta il dito contro un ‘complotto di Assad’.
“Sono le politiche di guerra condotte dall’Akp (il partito islamista al governo, ndr) contro la Siria ad aver provocato questo dolore alla popolazione. Scenderemo in strada per dire no a queste scelte” hanno denunciato ieri due deputati del Congresso Democratico del Popolo (Hdk) che hanno accusato i miliziani dell’opposizione siriana di essere gli autori della strage.
Anche l’opposizione parlamentare turca accusa Erdogan di essere – direttamente o indirettamente – il principale responsabile della più sanguinosa strage che la Turchia abbia subito negli ultimi 20 anni. Il leader dell’opposizione di centrosinistra Kemal Kilicadroglu, capo del Chp, e il nazionalista di destra Devlet Bahceli, hanno chiesto le dimissioni del governo dopo il ”collasso” della sua politica siriana, schierata senza riserve con i ribelli sunniti. Il paese – accusano – é ora finito nel ‘pantano siriano’, ed Erdogan ha permesso ai ribelli islamisti di trasformare il sud dellaTurchiain una base arretrata e la frontiera in un colabrodo da cui passano liberamente miliziani – anche molti jihadisti stranieri – armi ed esplosivi.
A Reyhanli e nella vicina Antiochia intanto regnano l’inquietudine e il sospetto, oltre al dolore, e la stessa stampa turca riferisce che molta gente della regione del sud del paese punta il dito contro i ribelli jihadisti siriani. Ed è proprio contro i media che si dirigono le attenzioni del governo turco, per evitare che quelle che sono voci popolari diventino dominanti sulla carta stampata: su richiesta della procura di Reyhanli, che dipende dal ministero della giustizia di Ankara, é stato proibito ai media di pubblicare informazioni sulle indagini. E alcuni giornalisti disobbedienti sono già stati denunciati.
Intanto però tra la gente della provincia di Antiochia (Hatay) monta la rabbia, e non sono mancate in questi giorni le manifestazioni e le proteste contro i 30 mila profughi siriani accampati poco al di qua del confine turco, accusati di essere la retroguardia e la base per le attività dei terroristi dell’opposizione sunnita e jihadista.
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