* http://www.sibialiria.org 22 giugno 2012
C’era in Afghanistan nella prima metà degli anni 1990 una guerra per il potere fra fazioni di mujaidin guidate dai diversi “signori della guerra” Questi, dopo aver sconfitto il governo filosovietico a forza di aiuti statunitensi, dal 1992 si contendevano il paese. Facendolo a pezzi. Bombardavano città, saccheggiavano aree civili, uccidevano e stupravano. Kabul ne fu distrutta. A quel punto dalla stessa costola islamista spuntarono i talebani, gli “studenti islamici”. Che non rubavano e che furono accolti come portatori di sicurezza da una parte della popolazione. Arrivarono al potere nel 1996 e ci rimasero fino all’attacco usa del 2011, anche se gli unici paesi a riconoscerli furono: Arabia Saudita, Pakistan, Emirati arabi uniti. Chi entrava in Afghanistan si trovava sul passaporto il timbro dell’u8221 Emirato islamico dell’Afghanistan” la stessa dicitura della targa –di recente apposta subito rimossa –fuori dalla porta della sede del governo talebano in esilio, a Doha nel solito Qatar. E una volta entrati ci si sentiva spesso dire che i talebano erano atroci e medioevali, una condanna per le donne e per tutto il paese, ma, rispetto ai mujaidin, almeno non saccheggiavano. Uccidevano per molte ragioni, ma non uccidevano per rubare, non rapivano e non stupravano.
E’impossibile non ricordare la contrapposizione fra mujaidin e talebani leggendo il reportage di due giornalisti dell’agenzia internazionale Reuters dalle aree siriane sotto il controllo dei “ribelli”
La Reuters si è spesso affidata a notizie non verificate e testimonianze di parte, sul conflitto siriano come su quello libico. Si è schierata invariabilmente con i “ribelli” di turno (ad esempio per mesi ha stravolto nelle sue cronache il significato dei dati dell’Onu circa i morti nel conflitto).
L’autodenuncia da parte di gruppi armati
Stavolta però l’agenzia internazionale ha raccolto un’autodenuncia. Da parte dei gruppi armati antigovernativi non jihadisti: dunque i “moderati e amici dell’occidente” ai quali Obama vorrebbe canalizzare più decise forniture militari con l’evidente e usuale pretesto delle armi chimiche e della necessità di “proteggere i civili”. Uno dei protagonisti dei gruppi “ribelli” non jihadisti confessa per onestà alla Reuters di aver potuto in realtà reclutare soprattutto gente che non aveva niente da perdere, ladri compresi. Spiega poi di essere stato soppiantato dai gruppi jihadisti, meglio organizzati. E secondo il reportage, questi ultimi, che pure vogliono instaurare un califfato islamista, sono meglio accettati dalle popolazioni delle aree occupate, rispetto agli altri “ribelli” perché appunto non saccheggiano…
Dai rapporti di forza sul campo, oltretutto, come rileva il reportage, risulta chiaramente che alla fine le armi arriverebbero proprio ai gruppi terroristi, grazie anche alla loro “eroica efficacia” secondo una curiosa definizione apparsa sul numero di marzo 2013 diLimes“Guerra mondiale in Siria”
Ma Obama & C. non demordono e leggi qui la notizia che gli statunitensi già addestrano gruppi armati coinvolti nella guerra in Siria).
Dall’opposizione armata che gestisce i pozzi nelle aree che ha occupato, l’Unione europea importa petrolio, avendo stabilito in aprile una deroga all’embargo economico contro la Siria. E per fornire anche armi a questa opposizione armata l’Unione europea o meglio i suoi membri che fanno parte degli undici “Amici della Siria” ha allentato selettivamente l’embargo sulle armi (in violazione di norme internazionali come hanno sottolineato l’Austria e altri membri; e in violazione delle norme antiterrorismo).
Hatla, un (altro) massacro ignorato
Dunque in Siria sono i “moderati”a saccheggiare e rubare? E quanto ai massacri, chi li compie? I “moderati”o gli “estremisti” Chi è così settario da massacrare il prossimo anche fuori dai combattimenti? Forse non cambia granché saperlo (nessuno di loro del resto andrà a finire presso i tribunali internazionali, c’è da scommetterlo) ma sempre la Reuters,come altri media mainstream, riportava giorni fa l’agghiacciante denuncia da parte dell’Osservatorio siriano per i diritti umani- Sohr (pro-opposizione): gruppi armati, in maggioranza –pare – del fronte terrorista al-Nusra, hanno ucciso circa sessanta sciiti nella città di Hatla, nella regione di Deir al-Zor. Uomini, donne, anziani e un bambino di due anni. Perché sciiti e considerati filogovernativi.
Poi ci sarebbe un caso da studiare meglio. Video e informazioni qui:
Secondo le ricostruzioni, fornite perfino da “attivisti”dell’area (che si sono dissociati dal massacro), e supportate da video, i terroristi hanno invaso il villaggio aprendo il fuoco con armi di piccolo e medio calibro, puntandole direttamente contro gli abitanti. Hanno poi saccheggiato e bruciato diverse case, colpendo anche luoghi di culto. Un fuggitivo –i superstiti si sono rifugiati nel villaggio di Jufrah – ha descritto al corrispondente dellaHaber pressl’uccisione di donne e bambini.
Secondo altri “attivisti” raggiunti al telefono, le vittime sarebbero venti. Altri venti abitanti sarebbero stati rapiti.
Ecco i nomi di alcuni degli assassinati: Sayyed Ibrahim Musa Mullah Eid, Taha Hussein Mullah Eid, Mohammad Musa Mullah Eid, Murtaza Ibrahim, Mullah Eid, Mustafa Ibrahim Mullah, Eidm Wedad al-Badrani (mohlie di Sayyed), Ali Mandil Saleh, Basil, Mandil Saleh, Yasser Mandil Saleh, Ma’soom al-Raja, Batoul al-Raja (moglie di Ma’soum) e la loro figlia di 2 anni, e poi gli ottuagenariHajj Omar al-Hamadi (85 anni), Hajj Issa Khalaf Al-Hilal (84 anni)
Il motivo dell’attacco non sarebbe settario, secondo il Sohr: alcuni uomini di Hatla avrebbero accettato di far parte di una milizia pro-Assad (fra gli uccisi ci sono anche sunniti), atto intollerabile in un’area occupata dall’opposizione armata. Ma si tratterebbe anche di una vendetta per la sconfitta subita a Qusair, città riconquistata dall’esercito dopo un anno. Ma quel che conta è che non si è trattato di una battaglia fra armati, ma di esecuzioni vere e proprie di civilihors-combat(fuori combattimento, secondo le definizioni del diritto umanitario applicato ai conflitti). In un video, decine di armati innalzano bandiera nera islamista e sparano gridando “Questa è un’area sunnita, gli altri non ci devono stare” Altri mostrano due cadaveri, scoprendone uno (“ecco un cane sciita” ma non l’altro (“no, è una donna”).
Il motivo dell’attacco non sarebbe settario, secondo il Sohr: alcuni uomini di Hatla avrebbero accettato di far parte di una milizia pro-Assad (fra gli uccisi ci sono anche sunniti), atto intollerabile in un’area occupata dall’opposizione armata. Ma si tratterebbe anche di una vendetta per la sconfitta subita a Qusair, città riconquistata dall’esercito dopo un anno. Ma quel che conta è che non si è trattato di una battaglia fra armati, ma di esecuzioni vere e proprie di civilihors-combat(fuori combattimento, secondo le definizioni del diritto umanitario applicato ai conflitti). In un video, decine di armati innalzano bandiera nera islamista e sparano gridando “Questa è un’area sunnita, gli altri non ci devono stare” Altri mostrano due cadaveri, scoprendone uno (“ecco un cane sciita” ma non l’altro (“no, è una donna”).
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