E’ di un morto, secondo fonti del Partito pace e democrazia (Bdp), il bilancio della repressione della polizia di Erdogan nei confronti degli abitanti del villaggio curdo di Kayacik, nella provincia sud-orientale di Diyarbakir. La versione on-line del quotidiano Hurriyet riferisce che la gente manifestava contro l’ampliamento di una base locale della gendarmeria dirigendosi verso il cantiere e lanciando pietre e molotov contro gli operai e le forze di sicurezza avrebbero ‘reagito’ per disperdere i dimostranti. Ma secondo attivisti e testimoni sarebbe stata la polizia in assetto antisommossa insieme ai militari ad attaccare per prima i manifestanti per impedirgli di raggiungere la gendarmeria e solo dopo i dimostranti avrebbero reagito. Fatto sta che Medeni Yildirim, un giovane curdo di appena 19 anni, ha perso la vita, mentre numerosi altri manifestanti sono stati feriti dai colpi esplosi dai militari e alcuni di loro sono in gravi condizioni.
Da settimane nella regione sudorientale della Turchia abitata dai curdi si susseguono manifestazioni contro la costruzione o l’ampliamento di nuove caserme della polizia e dell’esercito turco, un segnale contraddittorio rispetto alla volontà da parte del regime di Erdogan di voler arrivare ad una pace duratura con la guerriglia del Pkk. Ieri anche in occasione dei funerali delle vittime di Kayacik il Bdp ha convocato marce in tre grandi città per lanciare un’estate di proteste tese ad aumentare la pressione sul governo affinché faccia concreti passi avanti nel processo di pace. Il partito chiede, fra l’altro, lo stop alla costruzione di basi militari nel sud-est, il rilascio dei prigionieri politici, l’abbassamento della soglia minima del 10% dei voti per poter entrare nel parlamento di Ankara e la liberazione del leader del Pkk Abdullah Ocalan, imprigionato da oltre un decennio nell’isola-prigione di Imrali.
E’ invece di 17 feriti il bilancio di una protesta anti-governativa svoltasi ieri sera a Mersin, città nel sud della Turchia, dove un migliaio di persone sono state disperse violentemente dalla polizia mentre lo stadio locale ospitava la cerimonia di chiusura dei XVII Giochi del Mediterraneo. Gli agenti hanno di nuovo usato i gas lacrimogeni e i cannoni ad acqua contro la folla che aveva eretto barricate con tavoli e sedie prelevati dalle caffetterie della zona. Una decina i manifestanti arrestati. Oggi ad Istanbul é previsto un sit-in della rete “Taksim Solidarieta’ davanti al Palazzo di Giustizia per chiedere la liberazione dei manifestanti arrestati finora durante la repressione delle proteste contro il regime di Erdogan.
Nel frattempo il governo turco continua a passare al setaccio Twitter, Facebook e gli altri social network per individuare ed arrestare gli attivisti e i coordinatori delle proteste. Il ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni, Binali Yildirim, ha anche chiesto ai gestori dei social network di collaborare se vogliono continuare ad operare in Turchia. Secondo il quotidiano Aksam la ricerca di quelli che vengono definiti i “leader” delle proteste ha portato finora all’identificazione di 35 nomi forniti all’autorità giudiziaria.
Anche la stampa estera è finita nel mirino dell’Akp e del suo sistema di potere, nonostante il suo atteggiamento spesso ‘morbido’ nei confronti della repressione. Un quotidiano filogovernativo turco ha sporto querela contro il canale all news CNN e la sua anchor woman Christiane Amanpour per la copertura mediatica – tra l’altro tardiva – accordata alle manifestazioni iniziate a fine maggio. “Abbiamo presentato una denuncia giovedì contro la CNN e Amanpour per aver istigato l’opinione pubblica all’odio con la diffusione di notizie false” ha fatto sapere Mevlut Yuksel, direttore del quotidiano Takvim, che ha sporto querela all’ufficio del procuratore di Istanbul. Nella sua denuncia, il quotidiano ha accusato CNN International e Christiane Amanpour “di denigrare gli organi dello stato, utilizzando la libertà di espressione in modo incontrollato (…), e di causare danni ai beni pubblici incitando la popolazione, con false notizie, a unirsi ai manifestanti”.
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