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Siria: il debole Obama rimanda l’attacco

Sembrava tutto pronto per sferrare l’attacco: portaerei e sommergibili carichi di bombe e missili già nel Mediterraneo, opinione pubblica internazionale bombardata con le immagini degli effetti delle armi proibite sui civili siriani, annunci bellici con squilli di trombe.

Poi ieri l’inquilino della Casa Bianca, il Premio Nobel per la Pace Barack Obama, ha fatto annunciare dal suo staff che alle 19,15 ora italiana avrebbe tenuto un discorso dal Giardino delle Rose della Casa Bianca. Mettendo le redazioni di tv e giornali in subbuglio, convinte che si trattasse dell’annuncio dell’inizio delle operazioni di bombardamento contro Damasco. Maggioni, Berlinguer e Botteri in solluchero, pronte a cogliere in diretta lo storico momento.

E invece no. Il presidente degli Stati Uniti parla al popolo americano in realtà per rimandare tutto, per fare un passo indietro. In un discorso intriso di banalità, Obama ha confermato che la decisione è presa, e che gli Stati Uniti devono intervenire militarmente. “Sono pronto a dare l’ordine”, ha detto con enfasi, perché il presunto attacco con le armi chimiche compiuto dal regime di Damasco “è contro la dignità umana e contro la nostra sicurezza e quella dei paesi alleati”. Poi la doccia fredda e l’annuncio che l’attacco partirà solo quando il Congresso degli Stati Uniti si sarà pronunciato. La legge non lo obbliga affatto ad attendere l’esito del voto parlamentare. La “War Powers Resolution” fu approvata nel 1973, durante la Guerra del Vietnam e prevede che il presidente si limiti a notificare – e non a chiedere il permesso – al Congresso entro 48 ore da quando ha ordinato un intervento armato di qualsiasi tipo, a cose fatte. Vieta invece alle truppe di restare impegnate in combattimenti per 60 giorni, più altri 30 per il rientro, senza un’autorizzazione esplicita di Camera e Senato. La “War Powers Resolution” non solo concede quindi amplissimi margini di manovra all’inquilino della Casa Bianca ma in passato nessun presidente l’ha rispettata. In almeno due casi é stata platealmente violata: da Ronald Reagan nel 1986 per gli aiuti forniti ai Contras in Nicaragua e nel 1999 da Bill Clinton per i bombardamenti in Kosovo e Serbia.

Eppure Obama ha fermato la sua macchina militare per investire il congresso della decisione. Perché? Secondo alcuni analisti richieste esplicite affinché il Congresso fosse coinvolto prima dell’inizio dei bombardamenti erano state avanzate da molti deputati, repubblicani ma anche democratici, presidente della Camera John Boehenr compreso. E Obama, sentendosi più solo e debole dopo che la House of Commons britannica ha bocciato a sorpresa la richiesta del premier David Cameron di intervenire militarmente al fianco all’amico di sempre, ha deciso di prendere tempo e di scaricare la patata bollente sul Parlamento. “Il dibattito ci deve essere perché queste questioni sono troppo importanti” ha spiegato, ribadendo di nuovo che la sua intenzione è quella di punire il regime siriano con attacchi ‘limitati’ e di breve durata. Forse con l’obiettivo di fiaccare le infrastrutture militari e civili siriane senza puntare direttamente al rovesciamento del governo di Damasco, da lasciare alle milizie jihadiste e all’Esercito Siriano Libero che però già si lamentano per la ‘timidezza’ e l’attendismo della Casa Bianca e bersagliano il centro della capitale siriana con le autobombe.

Inizialmente sembrava che il Congresso Usa dovesse esprimersi entro il 9 di settembre, ora pare che il tutto possa slittare anche al 15. In tempo, spera forse Obama, per ottenere dagli ispettori dell’Onu che da 24 ore hanno lasciato la Siria un sostegno a proposito del casus belli, l’uso delle armi chimiche da parte dei soldati di Assad. Ma dal Palazzo di Vetro proprio in queste ore è giunta la notizia che ci vorranno almeno tre settimane per completare le analisi sui campioni e sugli altri elementi di prova, raccolti in Siria dagli ispettori delle Nazioni Unite: lo ha annunciato l’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, ente inter-governativo che non dipende dal Palazzo di Vetro, ma che con quest’ultimo collabora strettamente. Ban Ki-moon invece aveva parlato di una quindicina di giorni per concludere gli esami tecnico-scientifici. Che comunque non potranno stabilire con certezza chi ha usato il gas nervino alla periferia di Damasco il 21 agosto.

Cosa diranno gli ispettori dell’Onu? Dopo il no del parlamento britannico riuscirà il presidente francese Francois Hollande a convincere il riottoso parlamento di Parigi? Come voterà il Congresso di Washington, pieno di parlamentari assai dubbiosi sull’utilità di consegnare la Siria ai gruppi jihadisti e fondamentalisti islamici? Niente appare scontato, almeno per ora.

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