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Siria. La Russia gioca la carta della soluzione diplomatica. Obama alle corde

Mentre si profila incerto il consenso del Congresso Usa all’operazione militare annunciata più volte da Obama, la Siria ha accolto favorevolmente la proposta russa di mettere sotto il controllo internazionale le armi chimiche. Lo ha confermato oggi il ministro degli Esteri siriano Walid al-Moualem dopo colloqui a Mosca in cui ha lodato il Cremlino per gli sforzi tesi ad “evitare un’aggressione americana”. Nel tentativo di sbloccare la situazione al Consiglio di sicurezza Onu, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha detto che potrebbe chiedere al Consiglio di sollecitare Damasco a spostare le sue armi chimiche in siti all’interno del Paese dove possano essere custodite in sicurezza e poi distrutte. La proposta di Mosca getta la palla nel campo dell’amministrazione Obama che adesso dovrà rispondere a quella che pare delinearsi come una soluzione negoziata della crisi. Forse informato di questa mossa a sorpresa della Russia, oggi il segretario di Stato Kerry aveva messo in campo una  proposta che appariva solo destinata a guadagnare un po’ di tempo e i consensi che continuano a mancare. Kerry infatti ha inviato un diktat alla Siria secondo cui il regime dovrebbe consegnare i suoi arsenali di armi chimiche per evitare i bombardamenti.  Ma è una proposta che sottolinea ancora una volta la difficoltà dell’ammninistrazione statunitense ad avviare una escalation di guerra contro la Siria. Negli Stati Uniti, secondo un sondaggio di Cnn/Orc International, il 59% degli intervistati ha detto che il Congresso non dovrebbe approvare la risoluzione per il via libera all’offensiva, su cui è atteso un primo voto mercoledì, in Senato, nonostante la maggioranza pensi che il presidente Bashar al-Assad abbia usato armi chimiche contro la sua popolazione. Per quasi il 70% degli intervistati, l’azione militare non servirebbe né a raggiungere degli obiettivi, né a tutelare gli interessi nazionali. Il 55% si è dichiarato comunque contrario all’intervento in Siria, anche in caso di approvazione da parte del Congresso; senza l’ok di Capitol Hill, invece, i contrari sarebbero il 71 per cento. Da un lato, dopo aver annunciato di voler decapitare la leadeship siriana, Kerry pretende addirittura che questa posi la testa sul ceppo. Dall’altra diventano sempre più numerose le prove secondo cui l’uso delle armi chimiche sarebbe stato operato dalle milizia ribelli e non dalle forze armate siriane.

Le dichiarazioni del giornalista belga sequestrato e liberato insieme a Domenico Quirico (il quale, abbiamo la netta impressione che sia sottoposto a pressioni fortissime per offrire una versione diversa da quella del suo compagno di prigionia), le rilevazioni satellitari russe (che dovrebbero avere lo stesso valore di quelle statunitensi), le considerazioni del commissario Onu Carla Del Ponte, indicano conclusioni radicalmente opposte a quelle che l’amministrazione statunitense pretende di imporre come verità e come pretesto per bombardare la Siria. Gli stessi giornali statunitensi continuano a scrivere che stavolta manca del tutto la “pistola fumante” che legittimi un attacco militare. Obama in questi giorni si sta giocando l’appoggio del Congresso (e dei sondaggi) concedendo ben sei interviste ad altrettanti emittenti statunitensi in poche ore. La Casa Bianca scatenerà nella serata di oggi un’offensiva mediatica a tutto tondo per persuadere i deputati repubblicani e democratici a sostenere l’attacco sulla Siria.

Per l’amministrazione USA dunque la strada dell’intervento militare in Siria appare ancora problematica. Ma la riluttanza non è un antidoto all’avventurismo militare. Anzi, il rischio principale è proprio questo: il prevalere di una visione “corta” su questa crisi in Medio Oriente (come afferma giustamente il generale Fabio Mini) rispetto ad una disamina razionale delle conseguenze che una aggressione alla Siria, seppur limitata, può innescare. 

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