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Gaza al collasso. L’Egitto prepara l’intervento militare?

Da anni la popolazione rinchiusa in quell’enorme lager a cielo aperto che è la Striscia di Gaza patisce sofferenze immani, stretta nell’assedio israeliano. Dall’altro lato del confine ci sono gli egiziani, che dopo il colpo di stato militare di inizio estate hanno aumentato le pressioni contro la classe dirigente di Gaza, che fa riferimento ad Hamas, accusata di aver parteggiato con i Fratelli Musulmani e poi addirittura di favorire attacchi terroristici contro le forze di sicurezza egiziane in Sinai. E’ ovvio che i generali al potere a Il Cairo vogliono regolare i conti con i Fratelli Musulmani non solo egiziani, ma anche palestinesi; tra l’altro tra il regime wahabita dell’Arabia Saudita, che sostiene e finanzia la giunta militare egiziana, e il Qatar – che invece appoggia i Fratelli Musulmani anche se in maniera schizofrenica – non corre buon sangue. In Siria le milizie teleguidate dai due paesi che guidano il fronte reazionario in tutto il mondo arabo da giorni si combattono tra di loro. 
D’altra parte, il comportamento irresponsabile dell’organizzazione islamista palestinese – che sostiene la ribellione in Siria e riceve lauti finanziamenti dal Qatar – rischia di penalizzare ancora di più la causa palestinese, completamente dimenticata da quando la crisi siriana, e gli appetiti di tutte le potenze mondiali e regionali nell’area, hanno messo in secondo piano i crimini israeliani nei Territori Occupati, che non sono affatto cessati. In questi giorni la situazione nell’enclave assediata si è ulteriormente aggravata come raccontano due articoli – il primo tratto da Nena News e il secondo a firma di Michele Giorgio su Il Manifesto di ieri – che riportiamo qui sotto.

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L’esercito egiziano sta lavorando ad un possibile intervento militare contro la Striscia di Gaza. A rivelarlo sono state oggi fonti della sicurezza del Cairo alla stampa araba: aerei di ricognizione egiziani sono entrati nello spazio aereo di Gaza e fotografato alcuni siti a Rafah e Khan Younis, possibili target di un attacco. Non solo: l’intervento potrebbe riguardare anche veicoli sospettati di contrabbandare beni dall’Egitto alla Striscia.

Un intervento senza precedenti. Secondo le fonti, l’obiettivo è stroncare l’attività militare di gruppi armati islamisti nella Penisola del Sinai. Dal golpe militare del 3 luglio che ha portato alla deposizione del presidente Morsi e del regime dei Fratelli Musulmani, il nuovo governo egiziano ha accusato Hamas di aver inviato, attraverso i tunnel di Rafah, miliziani pronti a compiere attacchi contro le forze di sicurezza del Cairo. Accusa che Hamas ha sempre rispedito al mittente, ma che ha provocato dure reazioni da parte dell’Egitto: il valico di Rafah è quasi sempre chiuso, impedendo il passaggio di beni e persone, i tunnel sono stati quasi completamente distrutti e la Marina sta compiendo raid contro i pescatori gazawi lungo le coste egiziane. 

Secondo il Cairo, dietro gli attacchi contro polizia ed esercito egiziani, ci sarebbe militanti provenienti dalla Striscia. Tra loro Ansar al-Sunna, gruppo legato ad Hamas, e Ansar Beit al-Maqdis. Per cui, l’Egitto non avrebbe altre opzioni, se non quella di colpire direttamente la Striscia se la “linea rossa” sarà superata: “L’esercito egiziano non crede che la popolazione di Gaza sia coinvolta nelle violenze in Sinai – ha detto un funzionario egiziano all’agenzia stampa palestinese Ma’an News – Ma alcune fazioni sostengono gruppi armati in Sinai. I tunnel giocano un ruolo importante, collegando le due parti. E sebbene il coinvolgimento di Hamas sia limitato, è comunque responsabile del mantenimento dell’ordine e del controllo dei tunnel e delle fazioni che operano nell’enclave”. A pagare il prezzo di un intervento armato senza precedenti da parte dell’Egitto sarà la popolazione gazawi, 1,7 milioni di persone chiuse in una prigione a cielo aperto. 

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Un salto indietro di quasi tre anni. Ai giorni neri in cui Gaza viveva stretta tra due assedi. Di Israele e dell’Egitto del presidente-faraone Hosni Mubarak. Di settimana in settimana si aggrava la condizione della Striscia dove la popolazione civile aveva potuto godere nell’ultimo anno e mezzo di un allentamento delle restrizioni, soprattutto sulla frontiera meridionale con l’Egitto. Caduto, per il golpe militare del 3 luglio, il presidente islamista Mohammed Morsi, tutta Gaza si è improvvisamente ritrovata sotto accusa solo per aver ricevuto aiuti e riconoscimenti dai Fratelli musulmani egiziani, allontanati con la forza dal potere tre mesi fa. Il Cairo peraltro accusa Hamas, che controlla Gaza dal 2007, di «aiutare» i jihadisti che agiscono nella Penisola del Sinai senza però avere prodotto, sino ad oggi, una sola prova concreta delle responsabilità del movimento islamico palestinese. Anche un avversario storico di Hamas, il generale Jibril Rajoub, fino a qualche anno fa esponente di primo piano dell’Autorità nazionale palestinese, di recente ha definito «esagerate» le accuse rivolte al movimento islamico palestinese.
Le condizioni di vita a Gaza si aggravano nel disinteresse della comunità internazionale. Eppure oltre agli effetti devastanti della chiusura, quasi perenne, del valico di Rafah con l’Egitto e alla distruzione di molti dei tunnel clandestini con il Sinai che garantivano l’ingresso di merci di ogni tipo, la popolazione di Gaza deve sempre fare i conti con lo stillicidio di vite umane causato dal fuoco dei soldati israeliani lungo il confine. Ieri si sono svolti i funerali di Houshab Abu Houshab, 36 anni, ucciso due giorni fa nei pressi di Beit Hanoun, nel nord di Gaza. Secondo il portavoce militare israeliano, l’uomo si aggirava «in modo sospetto» lungo le recinzioni di confine. Per i palestinesi Abu Houshab era un civile disarmato che, con ogni probabilità, stava tentando di passare in Israele, come tanti altri manovali, alla ricerca di un lavoro. L’11 agosto, le truppe israeliane avevano ucciso un altro palestinese, sostenendo, anche in quel caso, che era stato visto comportarsi «in modo sospetto».
Le proteste palestinesi per la chiusura del valico di Rafah continuano a non avere effetti sulle autorità egiziane. Domenica centinaia di studenti e di ammalati gravi hanno manifestato a Rafah contro la chiusura del valico spiegando che l’apertura intermittente della frontiera colpisce civili senza colpa. Sabato scorso solo 62 persone sono riuscite a lasciare Gaza. Prima del colpo di stato in Egitto ogni giorno una media di 1.200 persone lasciavano Gaza attraverso Rafah. Non hanno miglior fortuna i pescatori colpiti dalle restrizioni israeliane e ora anche da quelle egiziane. A settembre i giudici egiziani hanno condannato a un anno di prigione 5 pescatori con l’accusa di essere entrati con le loro barche nelle acque territoriali egiziane. Eppure fino a qualche mese fa era una pratica frequente. A causa delle imposizioni israeliane i pescatori di Gaza sono spesso costretti a muoversi verso le acque egiziane dove però ora incontrano motovedette pronte anche ad aprire il fuoco. 
Ocha, l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari dell’Onu, è preoccupato per le recenti misure adottate che colpiscono i civili palestinesi. Ma le autorità egiziane non ascoltano e si dicono soddisfatte, in particolare dello stop quasi completo del traffico clandestino del carburante diretto a Gaza. Si è passati da un milione di litri al giorno a 200mila litri. Gli effetti si sono fatti sentire subito negli ospedali costretti a lavorare spesso con i generatori autonomi. Il dottor Hussein Ashour, direttore generale dell’ospedale Shifa di Gaza City, ha riferito nei giorni scorsi dei rischi per i pazienti ricoverati in terapia intensiva o in dialisi. Nell’ospedale Shifa ci sono una ventina di sale operatorie ma l’energia intermittente consente l’utilizzo solo della metà. A ciò si aggiunge la penuria cronica di alcuni medicinali. Il ministero della salute ha lanciato l’allarme: oltre 100 tipi di farmaci sono introvabili a Gaza e circa 1000 pazienti non possono ricevere cure adeguate. E questi sono soltanto alcuni dei problemi che la popolazione deve affrontare ogni giorno. 

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