Tempi duri in Europa per la multinazionale statunitense Amazon. Con la Germania i rapporti sono sempre più tesi, in particolare con i sindacati che ritengono insoddisfacente il trattamento salariale che l’azienda riserva ai suoi dipendenti. Dopo la scoperta, nel febbraio scorso, che in alcune città tedesche il colosso di Jeff Bezos utilizzava metodi semichiavistici e faceva controllare i lavoratori da agenzie di security piene di militanti neonazisti, contro la multinazionale si sono scatenati non solo i sindacati con scioperi e proteste ma anche alcuni media che attraverso inchieste giornalistiche sulle assurde condizioni di lavoro imposte ai dipendenti.
Bezos sente il fiato sul collo e vede diminuire i profitti e pensa a soluzioni drastiche. Come ad esempio smontare tutto e trasferire gli stabilimenti nell’Europa orientale – in Polonia o nella Repubblica Ceca, per l’esattezza – al riparo dai sindacati troppo esigenti e dalla stampa impicciona. La scelta avrebbe ricadute occupazionali non indifferenti per la Germania, dove Amazon possiede ben otto centri logistici addetti all’impacchettamento e allo smistamento delle merci per la vendita online, due centri per l’assistenza clienti e l’hub internazionale di Monaco di Baviera. Un vero e proprio colosso industriale con diecimila dipendenti, molti dei quali stranieri, arrivati dai paesi poveri del continente ma anche da più lontano. In un paese in cui la disoccupazione è a livelli minimi quasi solo gli immigrati possono accettare le condizioni disumane di lavoro, i ritmi massacranti, gli stipendi da fame, il metodo coercitivo di controllo da parte dei sorveglianti (i nazisti di cui sopra…). Ma dopo l’esplosione della polemica a febbraio non sono mancati gli scioperi che hanno coinvolto anche i lavoratori immigrati.
Bezos, che nel frattempo si è comprato il Washington Post per la modica cifra di 250 milioni di dollari, non l’ha presa bene e ora pensa alla migrazione.
Ma il colosso della logistica sembra avere problemi anche in Francia, dove il governo è impegnato in una campagna contro le multinazionali statunitensi delle vendite online in nome della difesa della piccola editoria nazionale. Dopo la decisione di adottare sanzioni contro Google, che non si è ancora conformato alle norme francesi sulla privacy, ora è arrivato il turno proprio di Amazon, accusata di abbassare artificialmente i prezzi dei suoi prodotti per sbaragliare la concorrenza con una politica di dumping censurata dalla Camera di Parigi. Che proprio in queste ore ha approvato una proposta di legge – che ora dovrà passare al Senato dove però c’è l’accordo di destra e sinistra – secondo cui i giganti del web non potranno più cumulare la gratuità delle spese di trasporto con lo sconto del 5% autorizzato sul prezzo di copertina dei libri venduti in Francia. Dal 1981 ogni libro nuovo venduto in Francia deve avere un prezzo unico fissato dall’editore, una misura destinata a sostenere le attività delle librerie indipendenti contro la concorrenza delle grandi catene. Uno sconto del 5% viene comunque autorizzato. La proposta di legge ‘anti-Amazon’ prevede ora che nel caso di un libro spedito il venditore non possa cumulare lo sconto del 5% autorizzato e la gratuità del trasporto, considerato come concorrenza sleale da parte delle librerie tradizionali, in questi ultimi anni in preda ad una tremenda crisi a causa dell’aumento delle vendite online e delle conseguenze della crisi economica che ha obbligato molti cittadini a tagliare le spese per la cultura e lo svago.
Amazon attraverso una campagna stampa prova a difendersi accusando il parlamento francese di danneggiare i consumatori transalpini che preferiscono gli acquisti online proprio per i prezzi convenienti. Senza spiegare però che le tariffe scontate sono anche il frutto delle inumane condizioni di lavoro imposte ai dipendenti della multinazionale.
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