È iniziato da poche ore a Bali un incontro al vertice dei 21 paesi membri dell’Apec (Asia-Pacific Economic Cooperation) che quest’anno ha un carattere storico. All’evento annuale che riunisce vari paesi delle due sponde dell’Oceano Pacifico, quindi anche gli Stati Uniti, per la prima volta non partecipa l’inquilino della Casa Bianca. Barack Obama, infatti, non ha raggiunto i partner/competitori a causa della gravissima crisi in cui lo shutdown ha gettato il paese.
Da sempre, in particolare dopo la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale contro il Giappone, gli Stati Uniti hanno esercitato un ruolo egemone nell’area, rafforzato negli ultimi decenni dalla capacità di far valere i propri interessi politici, commerciali e militari all’interno del vertice dell’Apec. Ma quest’anno, anche formalmente, la crisi interna ed internazionale degli Stati Uniti si manifesta con la assenza del suo presidente. Al suo posto è arrivato John Kerry, che ha in programma un atteso vertice, insieme agli altri delegati, con il presidente cinese Xi Jinping.
La debolezza di Washington, che negli ultimi anni ha completamente riorganizzato la propria presenza in Asia per accerchiare Pechino – ridislocando truppe e basi in Giappone, Filippine e Australia – sia militarmente che con una serie di trattati commerciali, preoccupa i paesi più subalterni all’area di interessi statunitense ma rafforza gli altri. Non è un caso che il presidente Xi Jinping, insieme al primo ministro Li Keqiang, arrivino al vertice di Bali dopo un periodo di forte iniziativa diplomatica e commerciale di Pechino in tutto l’estremo oriente. E – da non sottovalutare – dopo che Washington è stata costretta anche dal no cinese, oltre che dalla iniziativa russa, a bloccare gli annunciati bombardamenti contro la Siria. Gli Stati Uniti hanno tentato di rispondere spingendo per l’approvazione entro la fine del 2013 delcosiddetto Partenariato transpacifico (Trans-Pacific Partnership, Tpp) che dovrebbe rilanciare i rapporti economico-finanziari tra i 12 paesi aderenti, e che potrebbe fare da apripista dell’accordo di libero scambio per l’interna area dell’Apec.
Secondo molti analisti però l’assenza di Obama potrebbe permettere a Xi Jinping di avere un ruolo di primo piano al Vertice dell’Asia orientale (East Asia summit), incontro di 16 paesi dalle finalità più politiche e strategiche, che si terrà in Brunei subito dopo l’Apec, il 9 e 10 ottobre.
Vladimir Putin questa mattina ha formalmente “giustificato” l’assente Barack Obama, augurandogli di giungere ad un accordo con i repubblicani che ponga fine allo “shutdown”, Ma la sua frase – “anch’io sarei rimasto a casa con una situazione del genere” – è sembrata a molti una maliziosa sottolineatura delle crescenti difficoltà statunitensi, sia interne sia di egemonia internazionale. Prima che il capo della Casa Bianca decidesse di cancellare la partecipazione al summit di Bali, il Cremlino aveva ipotizzato un incontro tra Putin e Obama per discutere dell’andamento della crisi siriana. Della questione parleranno comunque Lavrov e Kerry.
Ma a cercare di approfittare del rinculo di Washington non sono solo Pechino e Mosca. Anche il giapponese Shinzo Abe tenta di occupare posizioni lasciate vuote dallo storico alleato nell’area. In particolare assicurando aiuti e assistenza a quei paesi che, istigati dagli Stati Uniti contro la Cina, ora si sentono ‘abbandonati’.
Ne scrive l’ottimo Maurizio Molinari sul quotidiano La Stampa:
I droni di Shinzo Abe, la visibilità della Firs tLady di Pechino e gli intoppi nel cerimoniale di John Kerry evidenziano al summit del Pacifico come l’America sia scivolata in secondo piano su un fronte diplomatico finora considerato prioritario dalla Casa Bianca. Nei colloqui bilaterali ai margini del vertice dell’Apec – fra i 21 Paesi del bacino del Pacifico – è il premier giapponese Abe a svettare, sostituendosi a Barack Obama nel garantire aiuti e protezione alle nazioni protagoniste di dispute marittime con Pechino. Abe promette a Manila e Hanoi forniture di motovedette per «tutelare i confini» e fa capire che presto userà i droni Usa nelle basi giapponesi per monitorare la Marina di Pechino. È un Abe determinato quello che preannuncia «nè cedimenti nè escalation con Pechino» tenendo in sospeso l’incontro a quattr’occhi con il presidente Xi Jinping. Il protagonismo di Abe punta ad arginare il «momento di Pechino», come i media indonesiani definiscono la popolarità di Xi all’Apec. Reduce da accordi commerciali per 30 miliardi di dollari con Giacarta, Xi guida la discussione del summit su investimenti e commerci, relegando la proposta Usa di una «partnership per il libero commercio» ad un tema secondario che sarà discusso a summit già concluso. (…) A dire ciò che molti leader pensano è Lee Hsien Loong, premier di Singapore: «C’è grande delusione per l’assenza di Obama, preferiamo un’America dotata di un governo capace di operare e con un presidente in grado di rispettare gli obblighi internazionali ». Le conseguenze si ripercuotono sull’agenda del Segretario di Stato Usa, Kerry, più volte rimaneggiata a causa dei malumori indonesiani per il forfait di Obama. (…) Il risultato è un Kerry sulla difensiva, obbligato a ripetere di continuo che «dopo il summit andrò in Brunei, Malaysia e Filippine » per rimediare alle mancate tappe di Obama con una presenza complessiva di «quasi due settimane». Se Abe e Xi duellano sull’equilibrio regionale, Kerry deve rispondere alle domande sullo «shutdown» limitandosi a recitare dietro le quinte un ruolo di sostegno alle mosse di Abe. Se a ciò si aggiunge che l’America è reduce da un mese di diplomazia sulla Siria terminato conl’avallo al piano russo di disarmo chimico non è difficile comprendere il nervosismo del Segretario di Stato. Anche sul dossier siriano, per via della roboante presenza di Vladimir Putin. (…)
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