Che il ‘pacchetto democratizzazione’ varato pochi giorni fa dal premier turbo capitalista e islamista Erdogan fosse una truffa lo avevamo spiegato immediatamente dopo l’annuncio del ‘sultano’. L’Akp (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) dopo un’ondata di proteste senza precedenti che ha portato in piazza milioni di persone e che ha resuscitato un’opposizione politica e sociale a lungo sopita e soprattutto repressa, ha urgente necessità di avvalorarsi come forza modernizzatrice all’insegna dell’ordine, sia nei confronti delle cancellerie occidentali sia nei confronti dell’opinione pubblica islamista delusa da un’incipiente crisi economica. E quindi il ‘pacchetto democratizzazione’ in realtà non è altro che un insieme di norme simboliche o poco più, che lascia intatto un sistema centralizzato di controllo e repressione ereditato dai precedenti regimi laicisti e orientato ora verso l’islamizzazione più o meno forzata del paese, con una mano di vernice ‘garantista’. Smentita però da alcuni dei provvedimenti varati negli ultimi giorni o in via di approvazione. Come quello che permetterà alla polizia di fermare per 12 o addirittura 24 ore ogni sospetto partecipante a manifestazioni ritenute illegali o eversive. Definizione vaga che abbraccia dalle celebrazioni del capodanno curdo – il Newroz – alle manifestazioni contro l’autostrada nel campus della Odtu di Ankara o la cementificazione di Gezi Park. In base alla proposta di legge la polizia avrà il diritto di arrestare senza mandato di cattura o consenso di un magistrato chi riterrà potenzialmente pericoloso. Almeno fino ad ora la repressione aveva mantenuta una parvenza di compatibilità con i sistemi giuridici democratici…
Anche le timidissime e a volte truffaldine aperture nei confronti dei diritti linguistici e culturali dei curdi e degli aleviti non sono bastate certo ai movimenti politici dell’opposizione radicale. In particolare al Partito dei Lavoratori del Kurdistan che ha minacciato di rompere definitivamente la tregua in corso con Ankara e di iniziare una nuova campagna militare contro le forze di occupazione turche proprio per denunciare un piano di ‘democratizzazione’ che in realtà mantiene inalterata la repressione e la persecuzione del popolo curdo. A comunicare il rigetto del piano governativo come insufficiente è stato uno dei leader più importanti del Pkk, Cemil Bayik: ”Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo si è giocato la sua ultima carta con questo pacchetto. O dimostrano seriamente di volere una soluzione o il Pkk ricomincerà la sua lotta” ha avvertito il comandante della guerriglia aggiungendo poi: ”Se il governo continua così, come può continuare il cessate il fuoco?”. Pur avendo promesso, in cambio della tregua, il varo di norme chieste a gran voce dai curdi e da altre minoranze – abbassamento della soglia di sbarramento per entrare in parlamento, insegnamento del curdo nelle scuole pubbliche, il riconoscimento dei diritti culturali e nazionali, la liberazione di migliaia di prigionieri politici – il governo dell’Akp ha annunciato solo pochi cambiamenti superficiali, associati a nuove misure repressive.
La presa di posizione pesantemente critica da parte della guerriglia si è subito manifestata attraverso attacchi nelle città curde contro i militari e le istituzioni turche. Da lunedì notte nella provincia di Cizre (sud della Turchia) migliaia di abitanti curdi sono scesi in piazza e si sono scontrati per giorni con l’esercito e la polizia in assetto antisommossa coadiuvati da mezzi blindati e cannoni ad acqua. Mentre la polizia sparava gas lacrimogeni e orientava gli idranti contro la folla, attaccata anche dai blindati lanciati a forte velocità, i manifestanti lanciavano pietre e bombe molotov, oltre a fuochi d’artificio e petardi, e si sono difesi con le barricate.
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