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Erdoğan, la variabile impazzita

Alberto Fazolo, pubblicista, è apparso spesso in televisione negli ultimi mesi in ragione della sua esperienza di militante comunista nel Donbass, che ha raccontato anche nel suo libro In Donbass non si passa: La resistenza antifascista alle porte dell’Europa (Red Star Press, 2018; seconda edizione, 2021).

Il dialogo affronta il complesso argomento del peso geopolitico ed economico della Turchia, nonché delle sue capacità militari.

Vale la pena condividere questo articolo con i lettori poiché tocca delle tematiche che all’interno di In Donbass non si passa sono assenti, ma che in una certa misura completano alcune analisi del volume.

La situazione internazionale si evolve rapidamente e va tenuto conto che questi pensieri (esposti e raccolti imparzialmente) risalgono a diversi giorni fa, tuttavia essi non perdono di importanza e anzi potrebbero ancora offrirci degli elementi per qualche previsione su un prossimo futuro.

Grazie per il suo tempo Alberto. Nel marzo di quest’anno, nell’ambito di un incontro pubblico, ha parlato del governo di Ankara come di una contraddizione all’interno della Nato pronta a esplodere. La posizione che il premier turco continua a tenere in queste ore nei confronti del possibile ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato le pare una prima conferma della sua previsione?

Mi sono occupato molto di Turchia, Erdoğan è una variabile impazzita che nessuno riesce a controllare. Prima di parlare di questo, però, occorre una precisazione utile per inquadrare meglio il discorso generale.

L’intervento russo in Ucraina come risultato politico concreto e immediato ha avuto quello di resuscitare la Nato. Se si fa mente locale su quella che era la situazione fino a qualche mese fa, la Nato sembrava sostanzialmente arrivata al capolinea, la Francia e altri paesi spingevano addirittura per la creazione di un esercito europeo. Con la questione ucraina tutto questo è stato accantonato.

Concentrandoci sul ruolo della Turchia all’interno della Nato dobbiamo sottolineare che è stata uno dei paesi più problematici per gli Stati Uniti da dover gestire; benché sia il secondo esercito dell’alleanza, quello turco è il meno affidabile per gli USA.

Questa mancanza di fiducia si è esternata con il tentativo di colpo di stato che Washington ha ordito ai danni di Erdoğan, da quel momento lo statista ha cercato ogni momento buono per “vendicarsi” e lo ha fatto con una politica altalenante rispetto alla sfera di influenza statunitense e quella russa (con cui condivide tanti interessi e tanti conflitti). Un interesse condiviso è la gestione dello Stretto dei Dardanelli e, sul terreno dei conflitti, quello in Siria.

Gli Stati Uniti hanno apprezzato molto il comportamento tenuto dai turchi in questa fase del conflitto tra Russia e Ucraina, cioè il fatto che è stato limitato il passaggio attraverso i Dardanelli di navi che potessero in qualche modo dare un contributo a Mosca. La Russia vede il Mar Nero essenzialmente come un lago, mentre altre forze – quelle della Nato – hanno potuto passare liberamente.

Credo che, proprio in ragione di questo comportamento conciliante, gli USA abbiano dato luce verde alla Turchia ad esempio per la repressione dei curdi, soprattutto nel nord dell’Iraq. Questo fatto è caduto nel silenzio generale, e a mio avviso grida vendetta.

In questo momento, però, ciò che reputo ancora più interessante è il ruolo di mediazione che sta cercando di avere la Turchia, che – ricordiamolo – è un partner strategico dell’Ucraina, sotto molti aspetti, ma sottolineerei soprattutto in campo militare.

D’altro canto la Turchia ha degli interessi geostrategici e militari pure con la Russia, per questo Ankara è uno dei candidati ritenuti adatti a fungere da mediatore. Avevano già organizzato un tavolo di trattative, ovviamente il proposito non è andato a buon fine perché mancava l’invitato principale, che è Biden; tuttavia è stato un primo tentativo di ricomposizione critica dell’attrito. In questa fase la Turchia è uno di quegli attori che sanno giocare da soli: sa imporsi in maniera significativa sullo scacchiere internazionale.

Però è da parecchio tempo che la Nato sembra aver lasciato carta bianca a Erdoğan, la posizione privilegiata in cui si trova la Turchia è la prova del “relativismo morale” (come ha scritto nel suo testo) dei governi (cosiddetti) occidentali. Va ricordato anche l’aiuto della Turchia agli azeri nella loro orrenda guerra contro la Repubblica dell’Artsakh nel Caucaso.

Guerra vinta – badiamo bene – grazie all’utilizzo dei droni; droni che avevano motori ucraini (che ora non vengono più forniti).

Un altro esempio di relativismo riguarda proprio il fatto che l’utilizzo dei droni da parte dell’esercito dell’Azerbaigian è considerato dagli “occidentali” come un’atrocità (e qui hanno ragione), ma se gli ucraini usano gli stessi droni, in condizioni analoghe, sono stimati semplicemente dei “grandi strateghi”.
Restando sul tema della Turchia e degli armeni, alcuni comunisti italiani (forse mal informati) parrebbero aver rivalutato Atatürk (o lo ricordano positivamente), il quale oltre a essere stato un genocida ha tenuto anche una linea molto ambigua nei suoi rapporti con l’Unione Sovietica. Ha qualcosa da dire su questo “fenomeno”?

Io avrei qualcosa da dire su tanti comunisti italiani, che si innamorano perdutamente di personaggi che di rivoluzione e progresso nella loro biografia non hanno proprio niente.

La Cina esercita una crescente influenza sulla Turchia in termini economici (e questo ha un peso politico), crede che la bandiera stellata possa schiacciare finanziariamente la mezzaluna? L’espansionismo turco è una costruzione di cartapesta?

I dati macroeconomici parlano chiaro sulla capacità di industrializzazione del paese negli ultimi tempi; non parlo solo delle tecnologie d’avanguardia, dell’industria aeronautica, ma anche di altri settori come quello chimico, metalmeccanico, militare.

La Turchia ha fatto passi da gigante, ma ciò che è più interessante è il fatto che attualmente la compagnia di bandiera turca ha sostanzialmente divorato il mercato europeo, anche come tratte commerciali.

Questo come è stato possibile? Io credo che ciò sia avvenuto secondo un preciso piano, faccio un esempio: sono tornato dal Venezuela circa un mese fa e gli Stati Uniti hanno vietato alle compagnie europee di volare in quel paese ispanoamericano. Adesso, per volare in Venezuela, devi andare in Turchia e rivolgerti a Turkish Airline. E alla compagnia non viene rimproverato nulla.

A mio avviso è evidente che gli USA – come dicevo prima riguardo, alla gestione dello Stretto dei Dardanelli – abbiano in qualche modo deciso di premiare la Turchia per un qualche servizio reso, e possiamo anche facilmente immaginare quali potrebbero essere questi favori. Il problema è che questi premi che vengono dati alla Turchia sono tutti a discapito dell’Europa.

Io non credo proprio che una presenza economica cinese possa in qualche modo schiacciare la crescita turca. Dalla Cina mi aspetterei un’altra mossa: è uno stato che ha la caratteristica di non avere nessun problema a finanziare qualsiasi soggetto si trovi su qualsiasi scacchiere.

Il caso più clamoroso – a mio avviso – è quello della guerra in Ucraina: la Cina detiene una quantità sterminata di territori arabili e, dato che buona parte dei cereali prodotti dall’Ucraina sono fermi alle frontiere e non riescono a partire, la Repubblica Popolare sta operando da entrambi i lati del fronte.

La vicinanza cinese alla Russia è arcinota, ma pure con l’Ucraina c’è una partnership importante. Tant’è che sono convinto che la Cina sarà il soggetto che potrà in qualche misura predisporre una sorta di piano Marshall, un piano di ricostruzione di entrambe le parti dell’Ucraina dopo la guerra.

Come vede il futuro della Turchia? Erdoğan continuerà a muoversi come un equilibrista, o si arriverà a uno scontro nel Caucaso?

Non credo che Erdoğan si lascerà condizionare dalle elezioni del 2023, secondo me può avere modo di muoversi ancor prima. In realtà il problema è più ampio: noi siamo già dentro alla Terza Guerra Mondiale, è inutile negarlo.

Già parecchi anni fa il Papa ha parlato di una “terza guerra mondiale a pezzi”, io sono pienamente d’accordo e ho il timore che molto rapidamente – a stretto giro – possano iniziare a ricomporsi questi “pezzetti”. In questo scenario è difficile fare previsioni su ciò che possa succedere nelle diverse regioni.

Al netto delle opposizioni che reprime ferocemente nel sangue, Erdoğan riesce ad allungare la sua ombra anche in paesi che sono suoi nemici.

Segnalo il recente caso riguardante la Grecia: undici rifugiati turchi sono stati arrestati entro i confini dello stato ellenico. Uno di questi oppositori era in possesso di una pistola, che usava per difesa personale, ma questi uomini non disponevano di altre armi, eppure la Grecia gli ha inflitto una pena che non è nemmeno prevista nel suo ordinamento (trent’anni a testa).

La Turchia continua ad avere una forza crescente, ma non è nemmeno detto che non si possa vanificare tutto all’improvviso con uno stravolgimento delle vicende belliche.

* da SoloLibri

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