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Arabia Saudita. Caccia all’immigrato: scontri, deportazioni e morti

È di almeno due morti – un cittadino straniero ed uno saudita – 68 feriti e 540 arresti il bilancio degli scontri avvenuti nella notte nella capitale saudita Riad, dove migliaia di immigrati si sono scontrati con la polizia al termine di una settimana contraddistinta da una violenta “caccia all’immigrato” che le autorità del paese hanno scatenato allo scadere dell’amnistia di sette mesi concessa ai lavoratori migranti che non sono in possesso di un regolare permesso di soggiorno affinchè lasciassero il paese senza conseguenze. Il giro di vite è frutto dell’entrata in vigore di norme restrittive sull’immigrazione, varate dal governo per contrastare il crescente tasso di disoccupazione tra i giovani sauditi, una situazione nuova per un paese dove i cittadini locali non hanno mai dovuto lavorare granché, grazie ai proventi del petrolio. Se il tasso di disoccupazione tra i cittadini locali ha toccato quota 12,5%, tra i giovani ha raggiunto addirittura il 60%, convincendo la casa reale a evitare di subire contestazioni e quindi ha colpevolizzare gli immigrati che accettano bassi salari e durissime condizioni, lanciando una vera e propria campagna di “saudizzazione” del mercato del lavoro.

L’Arabia Saudita ospita circa nove milioni di lavoratori stranieri, soprattutto africani, asiatici e di altri paesi arabi, su una popolazione di 28 milioni di persone. Prima dell’entrata in vigore della nuova legge, l’amnistia ha consentito la regolarizzazione di quattro milioni di lavoratori immigrati (che hanno trovato uno sponsor privato che ne permettesse la permanenza) mentre circa un milione di lavoratori asiatici – bangladesi, indiani, filippini, nepalesi e pakistani – ha dovuto lasciare il regno a causa delle restrizioni e della diminuzione della disponibilità di posti di lavoro. Solo negli ultimi 10 giorni circa 300.000 lavoratori yemeniti “irregolari” hanno attraversato a piedi la frontiera, rientrando in patria. Dall’inizio di novembre decine di migliaia di persone e intere famiglie sono state cacciate dalle loro case, caricate a forza sui pullman e condotte verso centri di detenzione prima di essere espulse.

Alcuni resoconti apparsi sulla stampa saudita, riportando la versione ufficiale del governo di Riad, riferiscono che gli scontri nel quartiere di Manfuha, dove vivono in prevalenza immigrati provenienti dal Corno d’Africa, sono cominciati sabato, quando gruppi di lavoratori immigrati avrebbero aggredito residenti locali con pietre, martelli e coltelli. I media locali hanno omesso di raccontare che nei giorni precedenti le forze speciali della polizia avevano realizzato rastrellamenti casa per casa, a caccia di immigrati irregolari, anche con il supporto di gruppi di cittadini sauditi organizzatisi in ronda per l’occasione e che si sono resi protagonisti di violenze e pestaggi.
Dal canto suo il governo etiope ha accusato la polizia saudita di aver sparato a un suo cittadino nella giornata di ieri, mentre le forze dell’ordine assediavano Manfuha e, sostenute dalle forze speciali, entravano in azione realizzando parecchie centinaia di arresti. Ora le vie di Riad sono controllate dagli agenti della Guardia Nazionale dopo che nelle vie del quartiere povero si erano registrate anche delle sparatorie.

La nuova normativa e la caccia allo straniero stanno alimentando tensioni con i paesi da cui proviene la maggior parte della ‘manodopera’ a basso costo, come l’Etiopia. Il ministro degli Esteri di Addis Abeba ha definito “inaccettabili” le violenze alle quali i cittadini etiopi sono stati sottoposti nel corso delle ultime settimane ed ha invitato le autorità saudite ad avviare “investigazioni accurate” sull’accaduto.

“Ecco qua: ci dicono che gli etiopi sono un problema e che dobbiamo andarcene” dici uno di loro prima di salire su un autobus, intervistato da Euronews. “Niente permesso di soggiorno. Ho vissuto in Arabia Saudita per 3 anni e mezzo e adesso me ne torno al mio Paese”. “I sauditi non vogliono gli stranieri” afferma un altro lavoratore che sta per rientrare in Etiopia. “Vogliono che ce ne andiamo. Non vogliono nessun immigrato”.

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