Violenti scontri sono in corso nelle ultime ore tra l’esercito siriano e i combattenti armati dei gruppi jihadisti nel nord del paese: in ballo c’è il controllo su Aleppo, metropoli da mesi nelle mani delle forze antigovernative, accerchiata almeno su due lati dalle forze regolari che hanno scatenato un’offensiva su grande stile che nei giorni scorsi ha portato alla conquista di importanti posizioni. I siti dei gruppi islamisti armati hanno diffuso un appello alla mobilitazione contro il governo di Bashar al Assad. Scontri su vasta scala sarebbero in corso anche a Homs, nel centro del paese.
Ma la principale novità delle ultime ore è rappresentata dalla dichiarazione del principale partito curdo del Kurdistan Occidentale, il Partito per l’Unione Democratica (PYD), che ieri nella città di Qamishli ha annunciato la formazione di un governo autonomo nelle aree controllate dalle milizie popolari da tempo in conflitto proprio con le milizie jihadiste. Il Pyd ha annunciato che il governo di transizione eserciterà la sua giurisdizione su tutto il Rojava – il nome in curdo delle aree abitate dai curdi in Siria – e fornirà protezione e assistenza a tutte le minoranze non curde. Il passo successivo dovrebbe essere quello della preparazione di elezioni locali e poi di elezioni generali che portino alla costituzione di un’assemblea legislativa. Il comunicato ufficiale del Pyd fa riferimento anche a questioni urgenti quali la sicurezza, la ripresa economica e l’assistenza alle zone in cui la popolazione ha vissuto direttamente gli scontri seppur sporadici con le truppe governative all’inizio della rivolta, più di due anni fa, e soprattutto gli attacchi delle milizie fondamentaliste sunnite composte spesso da combattenti stranieri negli ultimi mesi.
La principale forza politica del Rojava – vicina al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Turchia) – ha chiarito di non avere l’obiettivo di rendere le regioni curde indipendenti ma di voler conservare una larga autonomia da Damasco anche dopo l’eventuale fine del conflitto civile che insanguina il paese dal 2011.
Nelle regioni settentrionali della Siria vivono circa due milioni di curdi su una popolazione totale di circa venti milioni di abitanti, rappresentando la più consistente minoranza etnica del paese. Quando nel 2012 le truppe governative hanno abbandonato le aree curde per concentrarsi contro le milizie dell’Els e quelle jihadiste ad ovest e a sud, le milizie di autodifesa popolare formate dal Pyd e da altre formazioni politiche curde ma integrate anche da combattenti di altre etnie hanno progressivamente preso il controllo del territorio, ingaggiando vere e proprie battaglie con il Fronte al Nusra, lo Stato Islamico dell’Iraq e altre milizie qaediste e strappando loro villaggi e città nei quali sono state organizzate forme di autogoverno democratiche e rappresentative di tutta la popolazione. Oltre alle Ypg, Unità di Protezione Popolare, è stato formato anche un corpo di polizia che controlla le strade e svolge funzioni di normale ordine pubblico.
La dichiarazione del Pyd è stata accolta con contrarietà e nervosismo da parte del Consiglio Nazionale Curdo (KNC), federazione di altre realtà politiche del Kurdistan siriano, secondo le queli “la decisione unilaterale e frettolosa sarà considerata come un errore dall’opposizione siriana”. Il KNC, interna al Coalizione nazionale siriana e vicina quindi al cosiddetto Esercito Siriano Libero, segnala che la formazione di un governo autonomo stride con la presenza in alcune città curde, tra le quali la capitale Qamishli, di truppe e reparti di polizia fedeli al governo centrale di Damasco. L’accusa nei confronti del Pyd da parte del resto del panorama politico curdo, così come da parte dell’opposizione siriana, è di conservare una sorta di alleanza di fatto con il regime di Assad. Ma in realtà le accuse appaiono assai strumentali, visto che proprio ieri la Coalizione nazionale siriana ha annunciato la formazione di una amministrazione provvisoria di tutte le aree ‘liberate’, comprese quelle curde. Un’amministrazione che naturalmente non prevede la presenza del Pyd.
L’annuncio da parte del Pyd non ha fatto arrabbiare solo le formazioni curde alleate dei ribelli sostenuti dalle petromonarchie del golfo e dalla Turchia. Ieri sera, nella sua prima dichiarazione dopo la dichiarazione di Qamishli, il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ha accusato il PYD di “non aver mantenuto il suo impegno”, in riferimento a quanto secondo lui concordato dal leader curdo siriano Salih Muslim durante un viaggio ad Ankara nei mesi scorsi. “Avevamo detto loro di evitare una dichiarazione che potrebbe dividere la Siria” ha detto Davutoglu, esternando la preoccupazione turca che l’autonomia dei curdi del Rojava possa in qualche modo incrementare le spinte all’autodeterminazione anche dei confinanti curdi di Turchia.In un editoriale il quotidiano turco Hurriyet cerca di smorzare le tensioni, affermando che “è ormai evidente che una maggiore autonomia curda è inarrestabile” e che “tale contesto curdo richiede una soluzione urgente della questione curda in Turchia”. Secondo Hurriyet la situazione “consente e in realtà richiede alla Turchia l’assunzione di un ruolo di protagonista” perché “Ankara potrebbe portare i curdi iracheni e siriani insieme nella sua sfera di influenza attraverso lo sviluppo di integrazione economica, sociale e culturale. Questo sembra il piano di gioco di Ankara”.
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