“Alla Conferenza dell’Onu sul clima gli interessi delle società energetiche che inquinano vengono prima di quelli dei cittadini”: lo hanno denunciato in una nota congiunta alcune delle principali organizzazioni non governative impegnate nella difesa dell’ambiente, annunciando giovedì la decisione di abbandonare i lavori di Varsavia.
“La Conferenza avrebbe dovuto costituire una tappa importante nella giusta transizione verso un futuro sostenibile ma non porterà praticamente a nulla” hanno denunciato World Wildlife Fund, Greenpeace, Oxfam, Friends of the Earth, Action Aid, Pan African Climate Justice Alliance, Construyendo Puentes e altre organizzazioni non governative che operano a livello internazionale. Per loro la diciannovesima Conferenza dell’Onu sul clima sia ostaggio di “paesi ricchi e grandi inquinatori” e “a Varsavia “non c’è stato alcun progresso” né sulle riduzioni di emissioni né sugli impegni per ridurre le conseguenze del riscaldamento globale. Su alcuni aspetti, si legge anzi nella nota, “si è tornati indietro”.
Fino a ieri all’incontro nella capitale polacca hanno partecipato circa 9000 delegati e rappresentanti di 195 paesi. Al centro dei negoziati il raggiungimento di un accordo vincolante sulle emissioni nocive che possa essere sottoscritto nel 2015 ed entrare in vigore nel 2020. L’obiettivo dovrebbe essere quello di mantenere sotto i 2°C l’aumento della temperatura media del pianeta rispetto all’epoca preindustriale.
Ma lo scetticismo è generalizzato: “Quella di Varsavia passerà alla storia come la conferenza degli inquinatori” dice all’agenzia Misna Francesco Martone, responsabile dell’organizzazione non governativa Forest Peoples Programme (Fpp). “Il governo ospite ha fatto di tutto per sabotare qualsiasi accordo che potesse creare un ambiente favorevole all’avvio della trattativa sulle riduzioni di emissioni”. Anche i quotidiani raccontano che le grandi potenze occidentali e paesi in via di sviluppo, guidati da Cina e India, hanno posizioni divergenti in merito ai vincoli alle emissioni di gas inquinanti che dovrebbero essere contenuti in un’intesa da sottoscrivere entro il 2015.
Pechino non ci sta a sottoporsi agli stessi tagli di emissioni proposti per i Paesi occidentali, che – sottolinea la Cina- hanno costruito la propria economia grazie ai carburanti fossili. Usa e Ue ribattono invece che la Cina, diventata negli ultimi decenni una potenza in crescita, non può più considerarsi un Paese in via di sviluppo.
Ma i contrasti riguardano anche un fondo “verde” da 100 miliardi di dollari, attraverso il quale le potenze industriali dovrebbero aiutare i paesi poveri a far fronte alle conseguenze dei mutamenti climatici. I paesi del terzo mondo, per ridurre la deforestazione, pretendono compensazioni dalle grandi potenze, e anche i paesi composti per lo più di isole – come le Filippine appena colpite da un tifone catastrofico – chiedono un meccanismo che risarcisca perdite e danni. Ma naturalmente USA e UE, insieme al Giappone, al Canada e all’Australia, fanno resistenza.
Secondo Martone “a pagare i costi del fallimento saranno ancora i paesi più poveri a iniziare da quelli africani, con siccità, carestie e migrazioni forzate, conflitti generati dalla scarsità di accesso a risorse come l’acqua”.
Alla fine la bozza di documento uscito ieri dalla conferenza afferma che gli obiettivi per la riduzione delle emissioni inquinanti dovrebbero essere definiti “ben prima” del summit di Parigi del 2015, in modo che nella capitale francese si possa arrivare a siglare un accordo internazionale che li renda obbligatori. Ma comunque la conferenza non ha deciso nessuna scadenza predefinita. E se i lavori avrebbero dovuto concludersi ieri la impossibilità di raggiungere una qualsiasi posizione comune ha obbligato i delegati a continuare i lavori anche oggi. E’ la prima volta che accade da quando nel 1992 si inaugurarono le conferenze internazionali sul clima per dibattere linee comuni contro il cambiamento climatico.
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