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E’ braccio di ferro tra Cina e Giappone

Nel Mar della Cina nessuno dichiara di volere la guerra e tutti dicono di voler evitare incidenti. Ma tutti vogliono anche le risorse di gas naturale delle Senkaku (Diaoyutai per i cinesi) le isole contese e soprattutto vogliono vincere la competizione economica in Asia. La partita sembra giocarsi in modo particolare tra Cina e Giappone. Anche se Pechino sembra parlare a nuora (Tokio) affinché suocera intenda (Washington).

Pechino fa sapere che se gli aerei giapponesi torneranno a sorvolare l’area sotto il dominio cinesi, verranno attaccati. Nessun problema invece per i voli civili. Il Giappone, scrive il giornale cinese Global Times, deve essere “il principale obiettivo” nella nuova “zona di identificazione” della difesa aerea decretata da Pechino. “Dobbiamo prendere senza esitazioni le opportune contromisure mentre il Giappone si rifiuta di piegarsi alla zona di identificazione della difesa aerea decisa dalla Cina”, riferisce il quotidiano. “Se gli Stati Uniti non vanno troppo lontano, non saranno un nostro obiettivo nella protezione della zona di difesa aerea. Ciò che dobbiamo fare al momento è contrastare con fermezza tutte le azioni di provocazione del Giappone”. Dal canto loro il Giappone e la Corea del Sud hanno affermato ieri di avere inviato degli aerei in questa zona senza riferirlo alle autorità cinesi, dopo un sorvolo compiuto a inizio settimana da due caccia statunitensi. Ma Stati Uniti e Corea del Sud, secondo la stampa cinese, possono essere ignorati, perché il Giappone deve essere “il principale obiettivo di questa zona”. E’ difficile non vedere come i principali competitori in questa vicenda siano Cina e Giappone, entrambi alle prese con forti spinte interne nazionaliste.

In particolare il Giappone ha visto affermarsi la linea conservatrice e nazionalista che ha portato al governo Shinzo Abe. Abe fa parte dell’ala più conservatrice e nazionalista del partito liberale LDP ed è diventato per la seconda volta  primo ministro nel 2012 .  Il governo di Shinzo Abe ha attuato una politica monetaria espansiva battendo nuova moneta, ha fatto deprezzare la moneta nipponica (lo Yen) con il risultato di una ripresa delle esportazioni giapponesi  (con lo Yen deprezzato costa meno acquistare beni giapponesi) e un aumento dell’inflazione che ora è al 2% , ma i salari reali stanno diminuendo e il deficit è all’11% con il debito pubblico più alto del mondo, ben il 240% del Pil.

E’ ovvio che questa ripresa dell’export “made in Japan” sia entrato in aperta competizione con il gigante dell’export asiatico “made in China”. Una competizione che difficilmente non poteva nutrirsi del nazionalismo e di una escalation sul piano della politica militare. I partiti della coalizione di maggioranza e i nazionalisti che appoggiano Abe intendono procedere alla riforma costituzionale. La costituzione giapponese fu scritta dagli americani e “imposta” dopo la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale e include un articolo che proibisce l’uso della forza se non per autodifesa. I nazionalisti vorrebbero una forte revisione costituzionale in chiave più militarista soprattutto per fronteggiare l’ascesa della Cina come potenza egemone in estremo oriente.  Il governo giapponese ha deciso l’istituzione di un Consiglio nazionale per la Sicurezza Nazionale sul modello americano che dovrebbe essere varato nei prossimi giorni.

Abe già nel recente passato aveva rilasciato diverse dichiarazioni dai toni nazionalisti su questioni territoriali – ad esempio sulle isole Senzaku contese dalla Cina – e di politica internazionale. Tokio si sente forte – al momento – del sostegno Usa, che ha visto il segretario alla Difesa statunitense Hagel – riaffermare che l’articolo V del Trattato di mutua difesa tra Giappone e Stati Uniti copre anche la contesa sulle isole Senkaku.


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