La Tunisia celebra il terzo anniversario della sua Primavera Araba, quella che aprì la strada alle proteste in tutto il Medio Oriente e il Nord Africa, scendendo di nuovo in piazza. Ieri, 17 dicembre, giorno in cui il 26enne Mohammed Bouazizi si immolò come forma di protesta per la povertà e la disoccupazione che attanagliavano la Tunisia di Ben Ali, in migliaia si sono ritrovati nella stessa piazza per esprimere tutta la delusione per tre anni trascorsi invano.
Poco o nulla è cambiato nella Tunisia post-rivoluzione: il partito islamista al governo, Ennahda, è accusato di incapacità di gestire la crisi economica che colpisce le aree più povere e marginalizzate del Paese e di mantenere alta la tensione, avallando politicamente – in maniera più o meno diretta – le violenze che hanno portato all’uccisione di due importanti leader delle opposizioni di sinistra, Chockri Belaid e Mohamed Brahmi.
Tre giorni fa Ennahda ha tentato di concludere le trattative con le opposizioni nominando il nuovo primo ministro, Mustafa Filali, che ha però subito rifiutato l’offerta di una poltrona ad interim. Il negoziato guidato dal sindacato UGTT ormai da lunghi mesi si è concluso con un nulla di fatto. E lo stallo politico non aiuta certo la situazione economica e il processo di democratizzazione del Paese.
Così il popolo tunisino torna in piazza, luogo che in realtà non ha mai abbandonato: “Le promesse della rivoluzione sono state tradite”, lo slogan dalla strada. “È il giorno della rabbia e della protesta contro le politiche del governo che non ha mantenuto la sua parola”, dice alla stampa l’attivista Youssef Jlili. Ingente il dispiegamento di polizia e forze di sicurezza a Sidi Bouzid, mentre il governo vietava qualsiasi manifestazione non autorizzata e il presidente Marzouki, il primo ministro uscente Ali Larayedh e il presidente del parlamento Ben Jaafar decidevano di non partecipare alla commemorazione per ragioni di sicurezza.
Fin dal mattino di ieri i manifestanti si sono ritrovati di fronte alla sede del governatore regionale, dove Bouazizi si diede fuoco tre anni fa. La sua morte è resa ancora più amara dalle attuale condizioni in cui versa la Tunisia: il tasso di disoccupazione medio è ancora pari al 15,7%, con punte del 25-30% nelle regioni del Sud e in città come Siliana, Gabes e la stessa Sidi Bouziz. Alla manifestazione a Sidi Bouzid, c’era anche la sorella Samia: “La nostra condizione economica resta difficile, spero che le cose miglioreranno”.
Le periferie e il Sud del Paese continuano ad essere marginalizzate dagli investimenti e le politiche economiche del governo: secondo il sindacato UGTT, le regioni di Gafsa e Gabes sono rimaste fuori dai piani di investimento nazionali, volutamente tagliate fuori dalla lista delle regioni target di nuovi progetti nonostante la loro importanza economica per il Paese. Gafsa è ricca di miniere di fosfato, ma resta tra le aree più povere dell’intera Tunisia, anche a causa delle proteste di questi tre anni che hanno ridotto la produzione e provocato il licenziamento di centinaia di lavoratori.
Così, ieri a protestare non c’erano solo le opposizioni laiche, liberali e di sinistra, ma anche quegli islamisti accusati dal governo e da gran parte dell’opinione pubblica di destabilizzare il Paese e portare avanti omicidi politici. Da internet, anche il gruppo islamista Ansar al-Sharia, legato ad Al Qaeda e considerato dalle autorità organizzazione terroristica, ha chiamato in piazza il popolo tunisino: “La lotta è un obbligo e deve essere popolare. Sosteniamo la protesta di martedì”, si leggeva nei giorni scorsi in un comunicato sulla pagina Facebook del gruppo.
Dopo le commemorazioni, il Paese torna alla sua vita quotidiana, fatta di difficoltà economiche e ancora desiderio di scendere in piazza per far sentire la propria voce. (Nena News)
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