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Gerusalemme. Pulizia etnica all’israeliana contro gli ‘infiltrati’

“Siamo in pericolo, non pericolosi” e ancora “Rifugiati non è uguale a criminali”: sono alcuni degli striscioni esposti da circa 200 migranti africani che hanno manifestato ieri alla Knesset – il parlamento israeliano – e all’ufficio del primo ministro a Gerusalemme contro la nuova legge sull’immigrazione considerata restrittiva e persecutoria. Il gruppo di migranti era partito il giorno precedente dal centro di detenzione di Holot, nel deserto del Negev, dalla quale era evaso, dirigendosi verso la capitale, percorrendo a piedi parecchie decine di chilometri in mezzo al deserto sferzato da un vento gelido.

Con loro, a manifestare, alcune decine di attivisti per i diritti umani israeliani. Per la maggior parte gli immigrati evasi domenica dal nuovo centro di detenzione per ‘clandestini’ erano sudanesi, provenienti dal Darfur. Una volta scappati dal Cie, hanno passato la notte nella stazione centrale di Beersheva, poi si sono riposati in un Kibbuz e infine hanno raggiunto Gerusalemme a bordo degli autobus messi a disposizione dai volontari di alcune ong antirazziste che denunciano le condizioni in cui sono tenuti i migranti irregolari. In base alla nuova legge, i migranti sono liberi di uscire dal centro durante il giorno ma devono rientrare la notte. Ma essendo situato nel mezzo del deserto, Holot è di fatto “una prigione”. La legge prevede inoltre che i migranti irregolari restino fino ad un anno in questa sorta di ‘limbo’ che non prevede alcun procedimento giudiziario. Il governo, in alternativa, offre a coloro che scelgono il rimpatrio volontario, una somma di denaro.

Israele negli ultimi mesi ha incrementato la repressione contro quelli che il mondo politico – egemonizzato dalla destra e dalla estrema destra sionista – definiscono gli “infiltrati” contro i quali si moltiplicano misure legislative punitive. Negli ultimi anni inoltre, in conseguenza della crisi economica e della propaganda razzista di numerosi leader politici senza scrupoli, numerosi attacchi hanno preso di mira le comunità immigrate, in particolare quelle provenienti dall’Africa. In alcuni casi gli attacchi si sono trasformati in veri e propri pogrom di massa con distruzioni di case e proprietà e pestaggi dei migranti. Per di più il governo israeliano ha ordinato la costruzione di muri e barriere di vario tipo al confine con l’Egitto per impedire l’ingresso nel paese degli ‘infiltrati’.

Quando la carovana di migranti è arrivata a Gerusalemme e si è trasformata in un presidio di protesta vicino alla sede del parlamento, la polizia israeliana ha deciso di intervenire con la forza ed ha arrestato tutti i migranti, caricandoli a forza su alcuni autobus e rispedendoli verso la prigione nel deserto nonostante il tentativo da parte di alcuni attivisti di mettere in campo una poco efficace resistenza passiva.

 

Nonostante la scelta da parte dei migranti di non scappare e di far perdere le loro tracce ma di dar luogo ad una manifestazione politica mettendo a rischio la propria incolumità la maggior parte della stampa israeliana li ha bollati come criminali e fuggitivi. Il ministero degli interni Gideon Saar ha puntato il dito contro i pochi attivisti antirazzisti che hanno sostenuto l’iniziativa dei migranti: “coloro i quali sono soprannominati attivisti dei diritti umani, sono persone che oggi hanno istigato, provocato e spinto gli stessi infiltrati a violare la legge che la Knesset ha promulgato la scorsa settimana”. “Si tratta di persone – ha aggiunto il ministro – che diffondono bugie e infamano lo Stato d’Israele. Hanno disturbato le forze dell’ordine che stavano compiendo il loro lavoro, li hanno chiamati nazisti e hanno istigato gli infiltrati a violare la legge israeliana”. 

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