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Esercito europeo: scintille tra Parigi e Londra al vertice di Bruxelles

Il vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue in programma a Bruxelles sarà aperto dal tradizionale intervento del presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. Dopo di lui un altro intervento, in questo caso per niente usuale, quello del Segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. Eh si, perché uno dei temi principali in discussione questa volta è la Difesa comune europea, il che non ha mancato di scatenare contrasti tra alcune delle potenze più forti dell’Unione Europea. La discussione dovrebbe vertere su «quello che gli Stati membri e l’Unione dovrebbero fare, per mantenere e sviluppare le capacità che sono critiche per la nostra difesa e la nostra sicurezza», e in particolare «come incoraggiare più cooperazione per conseguire quest’obiettivo». Così presentava la questione tempo fa il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, nella sua lettera di invito ai premier e capi di Stato.

Il tema della Difesa comune europea vede due paesi in aperto e duraturo conflitto tra loro. Da una parte la Gran Bretagna, da sempre contraria a investimenti comuni per dar vita ad un vero esercito europeo e ad un complesso militar-industriale continentale; dall’altra la Francia, che invece in questi anni è stata in prima fila nel tentare di dare il via a missioni militari congiunte europee in varie parti del globo, accollandosi spesso spese e responsabilità che ora vorrebbe vedersi riconosciute.

Alla vigilia del vertice che si apre oggi in una Bruxelles semiparalizzata dalla protesta di migliaia di dimostranti antiausterity gli esponenti del governo Hollande hanno fatto sapere di essere stanchi di sobbarcarsi gli interventi militari in Africa e nel resto del pianeta senza che l’insieme dell’Unione Europea riconosca apertamente il ruolo di Parigi. E Hollande chiederà quindi ai suoi partner di prendersi le loro responsabilità e di fare un deciso passo avanti nella costituzione di un fondo comune che sostenga gli sforzi bellici continentali, a servire i quali fino ad ora “si è sacrificata” la sola Francia ma che presto dovranno vedere il contributo fattivo degli altri paesi ed eserciti. Hollande ha apertamente rinfacciato ai partner continentali il loro disinteresse nei confronti delle missioni militari decise negli ultimi mesi dalla Francia in Africa. Il presidente socialista ha riconosciuto che le missioni francesi in Africa – in Mali prima, poi ancora in Costa d’Avorio e nella Repubblica Centrafricana ora – rispondono alla necessità di Parigi di difendere i propri interessi economici e politici nelle ex colonie, ma ha anche chiarito che è interesse di tutta l’UE evitare che milizie islamiste instaurino regimi del terrore mettendo a rischio la stabilità di aree del globo dove l’Europa persegue obiettivi comuni. Eppure agli inviti di Bruxelles ai vari paesi dell’UE affinché contribuissero alle operazioni africane francesi in Africa non sono seguiti fatti concreti e neanche particolari entusiasmi diplomatici e politici.

Ora Parigi ne approfitta per esortare gli altri 27 componenti della federazione continentale ad accelerare e rendere effettivo un coordinamento militare già deciso anni fa ma che è rimasto finora lettera morta, in particolare per le aperte resistenze – quando non boicottaggio – da parte della Gran Bretagna e di altri partner. Parigi ha già presentato una proposta, che dovrebbe essere discussa domani a Bruxelles, affinché l’UE sviluppi un drone da combattimento europeo e renda più agile il dispiegamento di forze militari laddove ce ne sia bisogno. Vari battaglioni dell’esercito europeo sono stati formati e addestrati fin dal 2007 ma finora non sono stati utilizzati. La forza d’intervento rapido europea può mobilitare 1500 effettivi in dieci giorni, e si era pensato di inviarli nella Repubblica Centrafricana nei mesi scorsi, ma poi non se n’è fatto niente per l’opposizione di alcuni governi.

 “Con le restrizioni di bilancio attualmente esistenti, se l’Europa non vuole perdere peso nel mondo deve passare ad una cooperazione militare maggiore” affermano fonti diplomatiche del Consiglio Europeo. Che la spuntino Parigi o Londra (quest’ultima gelosa della sua indipendenza militare e legata a doppio filo con lo schieramento bellico statunitense all’interno della Nato) l’UE si impegna a sviluppare una cooperazione comune su più fronti: realizzare droni, creare un sistema comune di rifornimento in volo di caccia e aerei da trasporto, sviluppare le comunicazioni satellitari e migliorare la cooperazione nel campo della cibersicurezza.

 In attesa di sviluppi futuri, Parigi potrebbe chiedere che i fondi europei finora destinati ad alcuni eserciti africani che intervengono per riportare l’ordine in aree di crisi nel continente vengano dirottati verso la missione militare francese in corso nella Repubblica Centrafricana. Ma David Cameron è arrivato oggi a Bruxelles animato dalla volontà di dare battaglia sulla Difesa comune europea, deciso a porre il veto sul progetto di maggiore cooperazione e integrazione nel settore. Non vuole fare favori a Hollande. D’altronde USA e GB furono trascinati in guerra in Libia proprio da Parigi e i due paesi hanno sofferto non poco il protagonismo francese nella destabilizzazione della Siria. Obama, dopo che Londra si era tirata indietro visto il voto negativo dei Comuni, ha stoppato i bombardieri di Hollande ad un passo dall’inizio dei bombardamenti su Damasco. La posizione britannica è che la politica di difesa debba restare una prerogativa dei singoli stati e che la cooperazione debba limitarsi all’interno dei confini della Nato, sotto supervisione statunitense. «La Nato rappresenta le fondamenta della nostra difesa collettiva e ogni azione Ue dovrebbe essere complementare, non duplicare quello che fa l’Alleanza» ha detto il portavoce del premier britannico. “Gli strumenti di difesa come i droni sono di proprietà e sotto il controllo dello Stato e questo deve essere chiaro a tutti” ha aggiunto. Esattamente il contrario di quanto chiede Parigi. A Bruxelles si vedranno le scintille.
A pendere dalla parte della Francia però una industria europea degli armamenti e dei sistemi militari che vale già 100 miliardi di euro e che diventa sempre più competitiva con quella statunitense. 

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