Di quello che accade in Turchia, dopo l’exploit obbligato dei mesi scorsi, su tutti i media internazionali si è tornati a parlare poco e male. Ed anche nei primi giorni della rivolta che dal Gezi Park di Istanbul si è estesa a tutta la Turchia, alla fine di maggio, i grandi media mainstream erano impreparati, disattenti, infastiditi di dover rinunciare a continuare a parlare del’ modello Erdogan’ in termini positivi come avevano fatto fino a quel momento. Una tv turca, mentre le piazze di Istanbul, Smirne, Ankara, Antiochia erano diventati campi di battaglia, trasmetteva un documentario sui pinguini. Ma anche i media italiani all’inizio erano alquanto ‘distratti’, e a diffondere informazioni, commenti e racconti su quanto accadeva dall’altra parte del Mediterraneo sono stati soprattutto i cosiddetti ‘media alternativi’, avvalendosi anche delle testimonianze di alcuni italiani che da tempo vivono e lavorano in Turchia, e che da subito hanno sentito l’esigenza di rompere il muro di disinformazione e vera e propria censura che avvolgeva la rivolta di Gezi Park e la tremenda repressione scatenata dalle istituzioni del paese. Tra questi c’era Luca Tincalla, autore di un libro completamente autoprodotto dal titolo “Testimone a Gezi Park”. Abbiamo fatto a Luca alcune domande, buona lettura.
– Perché hai sentito l’esigenza di scrivere “Testimone a Gezi Park”? Cos’è che ti premeva comunicare?
Quando alla fine di maggio attraverso il tam tam dei social network sono venuto a sapere che nel parco di Gezi una donna (Ceyda Sungur, allora non lo sapevo) era stata appena innaffiata con i gas sono andato a vedere cosa succedeva. Sono andato spontaneamente, come molte altre persone, e spontaneamente (o quasi) le forze dell’ordine ci hanno riservato lo stesso trattamento. Quando sono tornato a casa e ho visto che i media mainstream tacevano (e avrebbero continuato) la mia è diventata un’esigenza. L’esigenza di informare contro il silenzio assordante che c’era qui, in Turchia; e, invece, la disinformazione che veniva dall’Italia. Per questo ho cominciato a scrivere dei pezzi, per fissare una testimonianza. Volevo comunicare quali erano le ragioni per le quali combattevamo e per le quali, anche se in modo diverso, ancora combattiamo.
– Hai parlato della censura che ha accompagnato i primi giorni della rivolta di ‘Gezi’, una censura preesistente e che si sta addirittura allargando negli ultimi mesi. Una censura di cui l’opinione pubblica italiana non sembra essere al corrente…
Per capire il livello di censura che esiste in Turchia voglio raccontare una barzelletta che qui andava tanto di moda all’inizio degli scontri. Napoleone risorge e va da Obama e gli dice: “Se io avessi avuto tutte le tue armi non avrei mai perso la battaglia di Waterloo!”. Poi va da Putin e gli dice: “Se io avessi avuto tutte le tue spie non avrei mai perso la battaglia di Waterloo!”. Infine va da Erdogan e gli dice: “Se io avessi avuto i tuoi mass media nessuno avrebbe mai saputo che io ho perso la battaglia di Waterloo!”.
La censura in Turchia è sempre esistita ed Erdogan, il primo ministro, non ha fatto altro che continuare una tradizione consolidata. Più di 60 giornalisti sono ancora in carcere per essersi ribellati allo status quo e alcuni di loro sono dentro da prima gli eventi di Gezi. Marco Cesario, un giornalista italiano, ci ha scritto sopra un libro interessante chiamato “Censura” ma non credo che siano in molti ad averlo letto. Ahmet Sik, che si è battuto anche per Gezi, è stato un giornalista che è stato dentro per diverso tempo e con lui Zeynep Kuray insignita quest’anno del premio Ilaria Alpi; queste persone sono state dentro per aver denunciato le “irregolarità” che ci sono in Turchia. E gli ultimi casi di corruzione di funzionari di polizia e politici, sono solo l’ultimo caso, interessante poiché il vecchio alleato di Erdogan si sta smarcando e si pensa che possa incidere con un 7-12% sul voto, sto parlando di Gulen. Ma che l’opinione pubblica italiana non sia al corrente, o sia informata poco e male, è normale. Che per caso è informata bene sulle resistenze nel proprio di Paese? Io credo proprio di no.
– Quali sono stati i punti maggiori di disinformazione da parte della stampa italiana?
L’incipit lo potremmo trovare con la trasmissione Ballarò. Quando in Turchia la protesta era cominciata già da qualche giorno se ne sono usciti con un servizio irreale sul benessere economico e sociale nel Paese. Questa è stata per me un’altra molla per continuare a informare. Informare che a un innegabile progresso economico in Turchia non era seguito un benessere sociale; per questo il “capitale sociale” si era ribellato! Poi ho assistito impotente alle poesie di Erri De Luca sugli alberi di Gezi. Ma non era SOLO per quegli alberi che stavamo prendendo gas e lacrimogeni, era ANCHE per quello. Poi c’è stata La Repubblica che ha fatto morire a più riprese Berkin Elvan. Una giornalista di La Stampa che ha fatto morire una persona con un candelotto al posto di un proiettile poiché aveva confuso le fonti. E tante belle altre storie, davvero. Quindi la disinformazione giornalistica e letteraria è stata alta in Italia, poiché pochi giornali hanno inviato giornalisti competenti in Turchia, non sai le volte che mi sono sentito in imbarazzo: non per loro, ma per la povera Italia.
– Non ti sembra ci siano state due fasi nel discorso della stampa mainstream sulla rivolta di Gezi Park? Una di disinformazione e rimozione, poi un’altra quasi di innamoramento?I media hanno messo in evidenza l’identità ‘islamista e illiberale’ di Erdogan, ma quasi mai le ragioni economiche dell’opposizione al governo…
Io credo che innamoramento e disinformazione siano andate di pari passo, forse, come due rette destinate a non incontrarsi mai. E’ vero, innegabile, che una parte di persone hanno visto in Gezi Park un movimento romantico volto a ribaltare il binomio governante-governato. Il fatto che in Europa – non solo in Italia – si teme l’ingresso della Turchia, per diversi motivi, non ha fatto altro che amplificare la eco negativa che si voleva fare su Erdogan e sul governo dell’Akp, il partito Giustizia e Sviluppo. Penso, ad esempio, a quello che ha detto-fatto la democratica Germania, quella che in questi giorni usa lo stesso pugno di ferro con i propri manifestanti, quelli di Amburgo. Il problema della rimozione esiste ma si estende ad libidum ovunque. non solo nell’informazione. Viviamo in un periodo in cui la notizia dell’ora prima è già vecchia. In un tempo in cui non ci ricordiamo più che film abbiamo visto, che disco abbiamo ascoltato, che libro abbiamo letto… il giorno prima. Quindi, per me, la rimozione è globale. Purtroppo.
Se i media italiani non hanno voluto criticare il modo di fare economia in Turchia credo dipenda dal fatto che in Italia l’economia, sia macro che micro, è ai minimi storici. E poi: meglio le immagini di morti e feriti che quelle del Pil. Il Pil non tira, i morti sì. Ed è per questo che quando gli scontri sono diminuiti i media stranieri sono spariti o quasi e rimangono solo i nerd a cui pochi danno ascolto.
– Chi sono stati i protagonisti della rivolta di Gezi Park a Istanbul e nel resto della Turchia? Ci sono differenze? Per mesi sono scesi in piazza a milioni in Turchia. Ma c’è una parte importante del popolo turco che si riconosce in Erdogan e nella sua politica, nella sua filosofia sviluppista…
I protagonisti della rivolta sono stati i cittadini, sia ad Istanbul sia altrove. Sono stati: turchi, curdi, aleviti, musulmani anti capitalisti, gruppi Lgbt, studenti, pensionati, tifosi delle squadre di calcio, anarchici, comunisti, kemalisti e tante altre persone ancora. Ma contro di loro tante, tantissime, persone: un muro d’indifferenza. Si parla di una decina di milioni di turchi che hanno partecipato agli eventi di Gezi Park contro il silenzio di sessantacinque milioni. Differenza fondamentale tra quello che è successo nelle città rispetto a quello che è successo nei posti “dimenticati da dio” è stata la copertura mediatica dei citizen journalist. Purtroppo in alcuni luoghi non sapremo mai cosa è successo, lo ammetto, o lo sapremo poco. Penso, ad esempio, al muro che da poco si sta costruendo al confine tra Siria e Turchia. Poiché i siriani, dopo che è cambiata la propaganda sulla “politica di accoglienza”, per Erdogan non sono più i benvenuti. Ma prima di puntare il dito ricordo che la Turchia è uno dei primi paesi al mondo per accoglienza ai popoli migranti, mentre in Italia sappiamo bene cosa succede nell’isola dimenticata di Lampedusa.
– E’ corretto dire che attualmente lo scontro di potere in Turchia è tra tre blocchi – due – Erdogan e Gulen – interni alle correnti liberal-islamiste e l’altra che fa riferimento al Chp e in generale alle correnti kemaliste e laiciste? E in questo scontro di potere che possibilità ha ciò che si è espresso con la rivolta di Gezi di inserirsi?
In Turchia l’Akp, secondo gli ultimi sondaggi, è dato in caduta del 7% e passerebbe dal 49% al 42%. Il peso di Gulen è quotato invece tra il 7% e il 12%, ma ancora non ci sono indicazioni chiare su chi appoggerà nelle prossime elezioni amministrative. Quindi io parlerei solo di blocco Akp e lascerei Gulen come alfiere importante in caso di alleanza, non solo con l’Akp ma con chiunque. E i chiunque, al momento, possono essere a mio avviso solo due partiti: il Chp e il Mhp. Il Chp, che è risalito fino a quasi al 30%, è l’avversario storico dell’Akp e rappresenta non solo i kemalisti ma molti laici nel Paese. Il problema è che anche durante gli eventi di Gezi non è riuscito a rinnovarsi completamente e difficilmente attirerà i voti delle persone che vogliono “dare un taglio netto”. Il Mhp, gli ultra nazionalisti quotati ora al 18%, potrebbero risalire ancora non solo grazie a Gulen ma per effetto dello scandalo corruzione. A questi tre partiti (Akp, Chp, Mhp) bisogna aggiungere il sempre vivo Bpd, al 5.5% ora, che può giocarsela con i candidati indipendenti in determinate aree geografiche e il neonato Hdp, un partito che incarna la nuova sinistra turca e che forse raccoglierà i voti dei minuscoli partiti che fino a ora non sono mai riusciti a entrare in parlamento.
La rivolta di Gezi Park ha portato nuova vita alla società turca poiché giovani a cui la politica prima interessava poco ne è rimasta coinvolta. I forum che sono seguiti allo sgombero del parco e di piazza Taksim testimoniano questa nuova presenza. Ma è chiaro, almeno per me, che è solo attraverso il voto che si riuscirà a cambiare qualcosa. In effetti, in Turchia la percentuale dei votanti è sempre stata alta poiché le persone in questo Paese – nel bene e nel male – vogliono decidere ancora chi li governa. Vedere tutti questi giovani vicino a me durante le proteste è stato un piacere; come è stato un piacere vedere che anche i meno giovani hanno partecipato. Gezi Park è stato di tutti o di nessuno, tutto dipende da come si vuole vedere il bicchiere nella vita. Io ne ho bevuto fino in fondo e questo mi ha ubriacato di gioia, di gioia di vedere un mondo diverso, un mondo nel quale la gente partecipa e non si chiude dietro a un lamento che niente cambierà mai.
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