E’ davvero paradossale che mentre il mondo politico e sportivo si sta interrogando in queste ore sulla ‘correttezza politica’ delle olimpiadi invernali in corso a Sochi, in Russia – diventate palcoscenico per star televisive decadute in cerca di un posto al sole – qualche migliaia di chilometri più a sud, nell’assai più caldo Qatar, da anni sia in atto una strage di lavoratori stranieri sacrificati sull’altare del mondiale di calcio assegnato al piccolo emirato nel 2022.
Una strage sulla quale solo negli ultimi giorni e in maniera incompleta e affrettata si sta scrivendo e riflettendo. Eppure i numeri parlano chiari: finora i lavoratori morti – quasi tutti nepalesi – durante i lavori di costruzioni di stadi e altre infrastrutture sono almeno 400, e secondo le stime fino al fatidico disputarsi della competizione calcistica internazionale il numero dei ‘sacrificati’ potrebbe diventare dieci volte più alto. Si parla quindi di 4000 (si, 4000, non abbiamo esagerato con gli zeri) poveri cristi ammazzati dai turni di lavoro troppo lunghi, dalle temperature troppo elevate, dalla mancanza di diritti e di norme di sicurezza. E da imprese senza scrupoli che alla fine si arricchiranno e verranno addirittura incensate e premiate per l’eroico sforzo.
La cifra è stata resa nota in questi giorni dal Pravasi Nepali Co-orditation Committee, un’organizzazione per il rispetto dei diritti umani, che in questi giorni raccoglie gli elenchi dei morti utilizzando fonti ufficiali a Doha, ed è stata rilanciata dai giornali britannici The Observer e The Guardian. I dati dicono che dal 2010 i lavoratori nepalesi – all’incirca 400 mila – rappresentano il 20% della forza lavoro totale utilizzata in centinaia di cantieri grandi e piccoli.
Quando, dopo una lunga serie di critiche e appelli inascoltati alla Fifa il presidente della Federcalcio tedesca, Theo Zwanziger, ha pubblicamente criticato la decisione di assegnare il torneo al Qatar, le autorità del piccolo ma potente emirato hanno risposto che nel paese si adottano tutti gli standard internazionali di sicurezza previsti in questi casi. Come no!
Secondo i dati raccolti da Amnesty International solo nel 2012 più di 1.000 persone sono state ammesse nel principale ospedale di Doha perché erano cadute da altezze considerevoli mentre erano al lavoro. Molti loro compagni di lavoro non sono stati tanto fortunati da poter raccontare l’incidente. E non è un segreto che milioni di lavoratori stranieri presenti nel paese della Penisola Arabica siano di fatto degli schiavi, o qualcosa di simile, senza diritti e perennemente sotto ricatto.
Scrive il sito http://nena-news.it: “Le organizzazioni internazionali puntano il dito contro le autorità qatariote non solo per la mancanza dei diritti base dei lavoratori immigrati, come la privazione dei documenti, il trattenimento dello stipendio e l’impossibilità di scioperare, ma anche per i maltrattamenti fisici a cui sono sottoposti molti di loro. Il Guardian, ad esempio, ha insistito molto sulla tragica morte di Noka Bir Moktan, 23enne morto per “arresto cardiaco improvviso” nell’ottobre del 2013. Le immagini del suo corpo mostrano però ecchimosi sul petto che, secondo il quotidiano britannico, potrebbero rivelare invece un maltrattamento finito in tragedia. Sul banco degli imputati è finito il sistema della Kafalah (garanzia, ndr), il passaporto per la schiavitù moderna che nei paesi del Golfo è prassi: trovato uno sponsor nel paese di destinazione, il lavoratore immigrato non può più cambiare lavoro fino allo scadere del contratto. La Kafalah di fatto sancisce la proprietà del datore del lavoro sull’immigrato, con quest’ultimo costretto a consegnare i suoi documenti e a subire ogni tipo di abusi da parte del padrone senza poter scappare”.
Di tragica non c’è solo la sorte della classe lavoratrice del Qatar – per la quasi totalità straniera visto che i cittadini locali spesso il lavoro non sanno neanche dove stia di casa – ma anche l’ipocrisia che, di fronte alle denunce di alcune associazioni internazionali, ammanta le reazioni di chi potrebbe e dovrebbe fermare la strage. Lo stesso Theo Zwanziger, pure così “sensibile” da aver criticato l’assegnazione al Qatar dei mondiali di calcio del 2022, a chi chiede che il paese venga sospeso e la competizione assegnata a qualcun altro risponde che “sarebbe controproducente, sarebbe come dire che i riflettori sono puntati lontano dal Qatar”. Quindi i riflettori – pochi watt – rimarranno puntati sulla strage di lavoratori finché qualche altra notizia non sostituirà quella di cui ci stiamo occupando, sgradita alla Fifa e agli emiri con aspirazioni da potenza regionale, e si riaccenderanno il giorno della inaugurazione del torneo internazionale. Quel giorno tutta l’attenzione del pubblico sarà puntata sui fuochi artificiali e sulle coreografie dei figurantii, e nessuno si curerà più del sangue ormai secco di migliaia di lavoratori anonimi morti per costruire stadi e piste.
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