Sta raggiungendo livelli parossistici lo scontro di potere all’interno dell’establishment turco, investito da una forte crisi di legittimità e alle prese con una guerra intestina che potrebbe portare alla fine della finora esaltante carriera politica di Recep Tayyip Erdogan.
Contro di lui l’imam/imprenditore Fethullah Gulen, che dagli Stati Uniti e attraverso le forti ramificazioni della sua confraternita Hizmet all’interno degli apparati dello stato turchi sta conducendo una forte campagna cavalcando gli scandali per corruzione che rischiano di travolgere per sempre il ‘sultano’.
Tanto che il premier turco ieri si è detto pronto a lasciare la politica se il suo Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) non raccoglierà la maggioranza dei consensi alle amministrative del prossimo 30 marzo. Una dichiarazione che segue di poco la pubblicazione su alcuni media delle nuove registrazioni di telefonate tra il primo ministro e l’ex-Guardasigilli Sadullah Ergin, che dimostrano una volta di più quanto i vertici del partito liberal-islamista siano a capo di un vasto e ramificato sistema di corruzione e di clientelismo.
Erdogan, irritato dopo l’assoluzione in primo grado in un’inchiesta su conti offshore di Aydin Dogan, magnate del settore informazione a capo della holding a cui fanno rifermento i più importanti media turchi critici verso il governo (ma interni agli apparati di potere), nell’intercettazione pubblicata su Youtube lunedì notte, invita Ergin a “seguire da vicino” il processo d’appello. “Incontrerò il nostro amico presidente dell’assemblea delle Corti penali e prenderemo le precauzioni del caso” risponde l’ex ministro nella telefonata intercettata.
La Dogan Holding ha subito chiesto ad Erdogan di smentire l’originalità delle registrazioni in questione: “non vogliamo credere che siano vere” recita il comunicato pubblicato su tutti i giornali del gruppo: “quella conversazione rappresenta un chiaro tentativo di influenzare l’operato della magistratura (?) se verificata scuoterà ulteriormente il sistema giudiziario”.
Ma il premier ha dovuto ammettere che la registrazione appena diffusa era originale, pur nel tentativo di sminuirne la gravità. “C’è forse qualcosa di più naturale che chiedere al mio ministro della Giustizia di seguire (un processo in corso)?” ha detto Erdogan che poi è tornato ad attaccare con violenza il predicatore: (Fethullah Gulen) “è come Khomeini, dopo le elezioni abbiamo un piano per ridurre la sua influenza”.
Erdogan ha accusato Gulen di essere all’origine delle inchieste anti-corruzione che hanno coinvolto decine di personalità del governo e del suo entourage economico e politico, incluso il figlio Bilal intercettato durante una compromettente telefonata con il premier.
In vista delle elezioni amministrative – in ballo c’è soprattutto la carica di sindaco di Istanbul, base principale del consenso affaristico finora egemonizzato dall’Akp e da Erdogan in particolare – il premier ha scatenato una vera e propria guerra a tappe forzate per cercare di ripulire gli apparati statali dall’influenza del predicatore prima alleato ed ora avversario. Ha rimosso e destituito molte migliaia di agenti di polizia, funzionari e dirigenti, ha cacciato alcuni magistrati che indagavano su di lui ed ha fatto approvare una legge che stringe il bavaglio su internet e sulla stampa e un’altra che mette il Consiglio superiore della magistratura sotto il diretto controllo dell’esecutivo.
Ma evidentemente le risorse di Hizmet – che può contare anche sul malcontento trasversalmente generato dallo strapotere di Erdogan anche tra i militari e la direzione dei partiti nazionalisti di centrosinistra Chp e di destra Mhp –sono assai più numerose e solide di quanto il ‘sultano’ immaginasse.
E così ora Tayyip tenta di colpire la rete economica controllata da Gulen nel tentativo di tagliargli le gambe e impedire di essere disarcionato. Nella notte tra venerdì e sabato, in tempi record, il Parlamento turco ha votato una legge che impone la chiusura di una rete di scuole private preparatorie. Si tratta delle cosiddette dersanes che preparano gli studenti ad affrontare l’esame che consente agli studenti di accedere alle scuole superiori e poi alle università, circa 4 mila istituti mille dei quali controllati proprio dalla potente confraternita islamica che fa capo al predicatore ‘esule’ negli Stati Uniti. Interessante notare come anche le opposizioni nazionaliste laiche, a partire dal Chp, non si siano molto impegnate nel contrastare la chiusura di queste scuole private che rappresentano un pesante elemento di controllo oscurantista e religioso sull’istruzione di un paese che entrambi i contendenti – Erdogan e Gulen – intendono islamizzare.
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