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Elezioni in India: valanga nazionalista e di destra

Alla fine il portavoce del Partito del Congresso (centrosinistra) Rajeev Shukla ha dovuto ammettere la sconfitta, concente per un partito che da quando l’India si è resa indipendente dai colonizzatori britannici ha avuto in mano il governo dell’enorme paese in maniera quasi ininterrotta.

La sconfitta del Congress Party è stata netta, e l’affermazione della destra nazionalista del Bharatiya Janata Party guidato da Narendra Modi ha avuto le caratteristiche di una vera e propria valanga.

“Accettiamo la sconfitta, siamo pronti a sedere all’opposizione”, ha confermato Shukla, che ha ammesso: “Modi ha promesso il cielo agli elettori e loro hanno voluto credergli”. In realtà la sconfitta del partito che ha alla presidenza Sonia Gandhi e aveva candidato a guidare la corsa elettorale e un eventuale governo suo figlio Rahul, erede maschio della più famosa dinastia politica dell’India, è dipesa più dalla sua scarsa credibilità che dalla bravura dell’ex opposizione.

Sottoposto dal 2011 a pressioni di movimenti per i diritti umani e libertà civili, come quello guidato a Delhi da Anna Hazare contro la corruzione dilagante, sfidato dalla recessione economica e dalla forbice crescente di reddito e possibilità all’interno della società, il partito del Congresso aveva approvato importanti iniziative, come quella contro la fame per garantire a prezzo calmierato alimenti essenziali a tutti gli indiani. Ma poi non sono seguite altre riforme attese da settori ampi del popolo indiano stufi del premier liberista Manmohan Singh e delle sue politiche. Addirittura nel feudo elettorale dei Gandhi, la circoscrizione di Amethi, nel grande stato settentrionale di Uttar Pradesh, a poche ore dalla dichiarazione ufficiale dei vincitori Rahul Gandhi risultava essere arrivato solo terzo.

La perdita del Territorio federale della capitale nel dicembre 2013, con la consegna all’attivista Arvind Kejriwal e al suo Partito dell’uomo comune (Aam Aadmi Party) nato da meno di un anno era stata da molti colta come un segnale della catastrofe imminente. Il voto di domenica ha visto un’affermazione anche al di là delle previsioni dell’Alleanza Democratica Nazionale di cui è perno il Bharatiya Janata Party (BJP), con il Congress Party giunto secondo e la Terza Forza (partiti regionali e raggruppamenti di sinistra moderata) e l’Aap di Kejriwal ancora più indietro.

Innegabile il successo per Narendra Modi, a capo di una efficiente macchina elettorale e portatore di un messaggio politico di natura tecnocratica, pragmatica e arrembante. Secondo i dati parziali – il conteggio delle varie centinaia di milioni di voti richiederà ancora tempo – i nazionalisti di destra potrebbero contare da soli sulla maggioranza dei seggi nella Lok Sabha (la camera bassa del parlamento, 543 membri) e addirittura sui due/terzi dei parlamentari contando gli eletti dei partiti alleati. Il Congress rischia di ottenere il peggior risultato della sua storia, sprofondando sotto i 100 seggi. Il partito di Modi, populista nel lingua, liberista in economia e contraddistinto da una forte impronta religiosa (induista) potrebbe quindi avere a disposizione cinque anni di governo stabile, una vera e propria novità nella storia politica dell’India. 

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