La storia delle dimissioni di Juan Carlos di Borbone, anacronistico re di Spagna, in favore del figlio Felipe, sembrerebbe una di quelle tante notizie da “Chi” o “Novella 2000”. Roba da gossip in ambiente aristocratico, pieno di ex monarchi o finti regnanti, che si fanno i fatti loro mentre appaiono in pubblico per imbesuire il popolo.
E invece dietro queste dimissioni c’è uno scandalo di proporzioni immani, tali da cambiare la storia della Spagna recente e talmente infame da non poter essere tollerato nemmeno da sudditi di bocca buona come gli spagnoli (i castigliani, almeno).
La storia è da dietrologia comparata. Ricordate il golpe Tejero? Quel fantaccino colonnello che entrò nel parlamento di Madrid con una pistola in mano, facendo straiare tutti i deputati e scuotendo dalle fondamenta la ancora fragile “democrazia” iberica dopo oltre 40 anni di fascismo franchista?
Ricordate quel giovane re “democratico” che apparve subito dopo in alta uniforme, a reti unificate (non era complicato, ce n’erano pochissime), a scomuncare il colonnello fantaccino e stendere il suo manto protettivo sulle libertà appena riconquistate dagli spagnoli?
Beh, erano d’accordo tra loro. Il re era il mandante e l’ottuso colonnello il semplice esecutore di un piano concepito per uno scopo che più miserabile non potrebbe essere: sostituire il presidente del consiglio Adolfo Suarez, scelto e nominato dallo stesso Juan Carlos, con l’ex precettore del re medesimo, il generale Alfonso Armada.
Un golpe in piena regola, fallito per la reazione internazionale e quella interna di un popolo che non voleva proprio saperne di tornare sotto il regime fascista dei militari. Fatti due conti, Juan Carlos sconfessò Tejero, tenne negli spogliatoi lo scalpitante Armada con tutti suoi reggimenti e si propose come “difensore della demoocrazia”. Applaudi universali, salamelecchi e festeggiamenti.
Ora Suarez è morto. E una giornalista del suo entourage, Pilar Urbano, ha dato alle stampe il libro in cui Suarez racconta tutto, ma proprio tutto, di quel che accadde nei giorni del golpe Tejero («La grande smemoratezza, ciò che Suárez dimenticò e che il re non vuole ricordare»).
Il colpo di scabola finale per un pupazzo da jet set che si era montato la testa e da oltre 30 anni usurpa un ruolo – difensore della democrazia, senza virgolette, stavolta – che proprio non si attaglia a un omuncolo così squallido.
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