Gli occhi neri di bambino persi nel vuoto, il volto di ragazza adolescente sopito sulle macerie da fuggire senza una meta. Gli sfollati palestinesi della Striscia che sono 250.000 e non sanno dove andare vagano su mezzi di fortuna o su quelli umanitari che nulla possono sulla disumanizzazione delle sigle con cui l’esercito d’Israele definisce le sue aggressioni. Il “Bordo protettivo” in atto dall’8 luglio ha già spezzato più vite del “Piombo fuso” del gennaio 2009. In altri casi si parla di crimini di guerra, non qui, non per queste stragi. Nella ripetuta manipolazione della realtà uno Stato terrorista giudica terroristi anche gli sguardi terrorizzati di bambini e a piacimento decide se e quando tagliare il sottile filo che li teneva in vita, pur sotto le bombe, pur con tutte le privazioni che possono avere solo detenuti severamente puniti prima della condanna capitale.
Tali sono per l’establishment israeliano un milione e mezzo di gazawi, la parte più debole (nonostante la presenza di Hamas e della Jihad islamica) e martoriata del popolo palestinese scippato del diritto della vita dopo quello della propria terra. Privati di tutto: dei fratelli uccisi, delle case frantumate dai raid di Tsahal, dell’unico ospedale bombardato anch’esso, delle scarse condutture d’acqua, pure dei cippi del cimitero dove anche le tombe dei vecchi sono state sventrate. Fra una minoranza di attivisti contrari alla guerra e di governi del mondo che rinnovano la protesta e una lunga schiera d’insensibili o disinteressati al rinnovato dramma, c’è la forza dei potenti che lasciano passare tempo e cadaveri, giorni e salme, sedimentati nei decenni. E’ l’infamia della connivenza con la sciagurata classe politica che guida Israele, conducendolo verso il baratro della sua boria bellica chiamata difesa, della raffinata xenofobia definita sionismo, del subdolo autoritarismo mascherato da democrazia.
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