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Aereo malese. L’hanno abbattuto i nazisti ucraini

Sarà che la Quarta Guerra Mondiale spaventa anche gli esperti di intelligence e i militari (semplicemente: nessuno sa se resterebbe qualcuno vivo). Sarà che l’approssimazione spudorata con cui l’amministrazione Obama e il regime Nato-nazista di Kiev hanno accusato i ribelli del Donbass ha lasciato un mare di domande senza risposta, ma soprattutto senza neanche lo straccio di una prova (il che, in un’area ultramonitorata dai satelliti militari perché teatro di combattimenti, è davvero una singolarità). Sarà che il mestiere di giornalista ha ancora qualche orgoglioso campione che si sforza di distinguersi dalla massa informe dei leccaculo stipendiati della stampa mainstream…

Ma l’episodio chiave della crisi geostrategica attuale, la più grave dalla “crisi dei missili” a Cuba nel 1962, sembra proprio avere una spiegazione opposta a quella propinataci dai media che vanno per la maggiore. L’aereo malese con quasi 300 persone a bordo, abbattuto nei cieli ucraini, è stato buttato giù dai militari di Kiev; anzi, probabilmente dalla fazione ultra-nazista (Pravyi Sektor) inquadrata – anche con ruoli di direzione – nella struttura dell’esercito “regolare” dopo il golpe di febbraio.

A dirlo non è qualche “orsetto” filorusso che anima con difficoltà qualche blog poco frequentato, ma una giornalista professionista di uno dei quotidiani italiani decisamente non sospettabili di antipatie per l’Ucraina nazionalista, l’imperialismo Usa e la Nato: ovvero La Stampa di Torino, organo di casa Agnelli, insomma Fiat-Chrysler Automobiles. Proprio lo stesso giornale da cui Massimo Numa conduce la sua personale crociata contro il movimento No Tav, per dirne una.

Maria Grazia Bruzzone ha firmato, due giorni fa, un lungo articolo analitico – che qui vi alleghiamo – in cui raccoglie informazioni di provenienza altrettanto “Russian free” che concorrono univocamente a definire come “attacco aereo” quello subito dal Boeing 777 malese. Niente missili terra-aria, quindi nessuna possibilità che ad abbatterlo siano stati gli insorti filo-russi e antifascisti.

L’articolo è notevole su molti piani, nonostante l’evidente sforzo di contenere il racconto entro i limiti del “tollerabile” per un giornale come La Stampa. Chiama in causa infatti le fonti di intelligence Usa, che si vanno smarcando dall’avventurismo retorico di Obama e dintorni; l’omologazione del giornalismo occidentale; i rischi di guerra mondiale dietro l’angolo; la feroce lotta interna al regime di Kiev, esplosa anche in piazza Maidan alcuni giorni fa. E tante altre cose. Soprattutto, e nemmeno tanto tra le righe, offre una spiegazione plausibile per l’abbattimento: cercavano di abbattere l’aereo presidenziale di Putin, in quelle ore – con circa 30 minuti di differenza – atteso in transito sulla stessa rotta, di ritorno dalla serie di vertici con i leader dei paesi sudamericani meno amati da Washington.

Ma non vogliamo dilungarci oltre. A voi l’articolo della Bruzzone.

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 “L’MH17 è stato colpito da un aereo”. Lo scrive la stampa della Malaysia citando analisti Usa

La Stampa, 12 agosto 2014

Maria Grazia Bruzzone

“Analisti Usa concludono che l’MH 17 è stato buttato giù da un aereo”: così titola un articolo a firma Haris Hussain apparso il 7 agosto sul News Straits Times Online, non un blog ma il primo giornale in lingua inglese della Malaysia e il principale del sud est asiatico. Dato lo stretto controllo sui media, l’articolo sem brerebbe avere l’avallo del governo che peraltro, nello stesso giorno, attraverso il ministro dei Trasporti Liow Tion Lai annunciava che un report preliminare sul disastro del 17 luglio scorso in cui sono morte 298 persone dovrebbe uscire in settimana.

“Analisti dell’ intelligence degli Stati Uniti hanno già concluso che il volo MH17 è stato abbattuto da un missile aria-aria e che il governo ucraino ha a che vedere con la faccenda. Ciò corrobora la teoria che va emergendo tra gli investigatori locali secondo la quale il Boeing 777-200 è stato colpito da un missile aria-aria e poi e finito con il cannone di bordo di un caccia che gli stava dietro”, esordisce il post. Che continua: “L’esercito russo ha presentato immagini e dati dettagliati che mostrano un caccia Sukhoi-25 in coda al Boeing MH 17 prima del crash. Il regime di Kiev tuttavia nega che vi fossero caccia in volo”.

Un’accusa netta nei confronti di Kiev, e una versione che contraddice in pieno la narrazione dei media occidentali che, sull’onda delle dichiarazioni dell’amministrazione americana, hanno quasi immediatamente parlato di un missile terra-aria lanciato dai “ribelli” separatisti dell’Est Ucraina e accusato senza mezzi termini il presidente russo Valadimir Putin, pur senza presentare alcuna prova. Anzi.

La sollecitazione di Mosca del 20 luglio di un’inchiesta internazionale con la supervisione dell’ICAO – International Civil Aviation Organization – è stata lasciata cadere. Né ha avuto risposta la pubblica richiesta fatta agli americani dai militari russi di mostrare le foto e i dati di un loro satellite, che quel fatidico pomeriggio transitava proprio su quell’area parte, a quanto risulta.

Da parte loro i militari russi già il 21 luglio mostravano immagini satellitari e tracciati radar che provano la presenza di almeno un caccia ucraino Sukhoi-25 in volo a 3-5 km di distanza dal MH17. Presenza che può essere confermata dai video del centro di controllo di Rostov, sostenevano.

Un’evidenza che oggi verrebbe comprovata, secondo il giornale di Singapore. Che cita una serie di fonti.

1. Una è la testimonianza di un monitor dell’OSCE canadese-ucraino, Michael Bociurkiw che, grazie anche al fatto di parlare ucraino e russo, è riuscito ad essere tra i primissimi investigatori ad arrivare sul luogo del disastro, dove i rottami del relitto “erano ancora fumanti”, spiegava la giornalista presentandolo alla tv canadese CBC il 29 luglio (anche qui youtube). Secondo l’intervistato:

C’erano due o tre pezzi di fusoliera letteralmente crivellati da quel che sembra essere il fuoco di una mitragliatrice, un fuoco di mitragliatrice molto molto forte” .

2. Le sue parole sono sembrate confermare le affermazioni del tedesco Peter Haisenko, pilota della Lufthansa in pensione, che ha analizzato con molta attenzione le fotografie del relitto cercate pazientemente sul web subito dopo il crash. Concludendo che i pannelli della cabina di pilotaggio sono stati attraversati da proiettili di mitragliatrice provenienti sia da destra che da sinistra, come proverebbero i fori di entrata e uscita su entrambi i lati. Un’osservazione che nessun altro aveva fatto prima di lui e che porta ad escludere un missile sparato dal basso – riferisce il giornale malaysiano.

Nel post in inglese del blog The Slog su Haisenko (qui l’originale in tedesco/inglese, del 24/7) – che ha twittato subito le sue “scoperte” – si cita anche la testimonianza di Berdn Biederman, colonnello in pensione originario della Germania Est, specialista di missili, familiare con la tecnologia russa e sovietica. “Il boeing non può essere stato abbattuto da un missile terra-aria”. Si sarebbe incendiato immediatamente in volo, perché anche solo una singola scheggia di quel tipo di missile contiene una quantità di energia cinetica enorme (sintetizziamo aprossimativamente), mentre l’MH17 ha preso fuoco toccando il suolo entrando in contatto col combustibile. Alla fine il post osserva che sul web cominciano ad apparire articoli controcorrente, effetto del “malumore (e della stanchezza) di Angela Merkel per l’incessante propaganda Usa nei confronti dell’agenda energetica tedesca…e del tentativo di creare un blocco alternativo a quello americano”. Sarà vero?

I fori sul relitto sarebbero compatibili con le mitragliatrici da 30mm di cui sono dotati i Su-25 ma il fatto che sembrino essere entrati e usciti da entrambi i lati farebbero pensare a due jetnon uno solo – alle costole del Boeing 777-200 malaysiano. Come del resto ha raccontato a caldo un controllore di volo spagnolo ma al lavoro all’aeroporto di Kiev. Sollevato dall’incarico subito dopo il crash, così come le registrazioni radar, ha raccontato, sarebbero state immediatamente requisite. Vedi questo post del sito canadese Global Research , che a tutte le tappe della vicenda ha dedicato vari articoli , in calce l’elenco.

Lo stesso post – firmato dallo storico-investigativo (sic) Eric Zuesse riferisce che secondo il Financial Times quelle foto – qui dei campioni in rete – sarebbero al contrario compatibili con un missile terra-aria.

Ma precisa che le foto del frammento di carlinga tirate giù dal web da Haisenko – una in particolare – è stata poi rimossa da Internet. Così come sono state subito sequestrate le registrazioni della torre di controllo. Lo ricorda anche il giornale di Singapore, che ha intervistato l’ambasciatore ucraino in Malaysia Igor Humenniy, che ha risposto: “ Non ci sono prove che i nastri sono stati confiscati dallo SBU – i Servizi di Kiev. L’ho letto sul giornale”. Dopo di che ha detto di non sapere dove siano quei nastri, se sono stati consegnati o meno agli autori dell’indagine tecnica sul disastro.

3. La terza citazione del News Straits Times è un interessante articolo postato il 3 agosto su ConsortiumNews.com da Robert Parry, noto giornalista investigativo americano già reporter dell’Associated Press che ha avuto modo di sentire direttamente esponenti della Intelligence Community, sia pure sotto anonimato.
Secondo Parry, “ Al contrario di quanto afferma pubblicamente l’amministrazione Obama, alcuni analisti dell’Intelligence americana hanno concluso che i ribelli e la Russia non possano verosimilmente essere incolpati e che la colpa sia invece da attribuire a forze del governo ucraino – secondo la fonte sentita su questi temi” .

Questo giudizio è basato largamente sull’assenza di prove da parte del governo americano che la Russia abbia fornito ai ribelli il sistema missilistico anti aereo Buk, indispensabile per colpire un aereo civile a 33.000 piedi, ha spiegato la fonte”, aggiunge Parry, che si era già occupato della vicenda in un post del 20 luglio, tre giorni dopo il fatto, e poi ancora il 22. Già allora sorpreso dalla mancanza di prove di cui nessun collega sembrava curarsi.

“Nessun giornalista domanda cosa mostrano le immagini satellitari” di fronte alla crescente “isteria” contro i ribelli russo-ucraini e Putin – osservava nel primo post – biasimando la stessa “assenza di sano scetticismo professionale riscontrata sull’Irak, la Siria e altrove”. “Ci saranno anche dei limiti a quel che i satelliti vedono, ma i missili del sistema Buk sono lunghi 16 piedi (circa 5 metri), le batterie sono montate su un camion, e quel pomeriggio la visibilità era ottima”.

Di qui la cautela dell’intelligence, a cui non fa riscontro la stessa prudenza da parte dell’amministrazione Obama, del segretario di stato Kerry e dello stesso presidente, aggiunge Parry.

Se gli analisti dell’intelligence hanno ragione e non sono da incolpare ribelli e Russia, il sospetto non può che cadere sui militari del governo Ucraino, i soli a possedere le batterie di Buk – come risulta all’intelligence.

L’ipotesi di lavoro degli analisti Usa, riferisce Parry, è che una batteria Buk di missili SA-11 e uno o più aerei militari abbiano potuto operare insieme andando a caccia di quello che credevano fosse un aereo russo, forse addirittura l’aereo presidenziale che riportava in patria Putin dal Sud America, secondo una fonte” (in effetti Putin ritornava da un incontro coi paesi BRICS Belo Horizonte, la coincidenza è sottolineata anche da Haisenko).

La fonte dell’Intelligence “non punta il dito sui vertici del governo di Kiev, il presidente Poroshenko o il primo ministro Yatsenyuk”, precisa Parry. Suggerisce che “ l’attacco può essere stato il lavoro di fazioni estremiste, magari di uno degli oligarchi ucraini con un approccio particolarmente aggressivo verso i ribelli dell’est” . Timoshenko aveva pubblicamente espresso il desiderio di uccidere Putin, ricorda il giornalista.

Il Boeing della Malaysian Airlines che volava da Amsterdam a Kuala Lumpur del resto non avrebbe dovuto essere su quella rotta sopra l’est dell’Ucraina al confine con la Russia, vi era stato dirottato per sfuggire al maltempo.

Sia l’idea di un errore involontario, ventilata inizialmente, sia quella di un disertore – emersa quando si parlava di immagini satellitari di uomini in divisa intorno alle batterie di missili SA-11 – sono state abbandonate. L’intelligence è oggi su un’altra pista, quella di un attacco volontario, anche se non sa o non dice di chi.

Parry nei suoi post avanza indirettamente l’ipotesi che le “fazioni estremiste” indicate dall’Intelligence Community siano i neo nazisti di Pravy Sector – “che derivano direttamente dai gruppi che affiancarono le SS di Hitler”, ricorda. In particolare cita Andrei Parubiy, promosso dal nuovo governo ucraino da capo di miliziani decisivi nel buttar giù Yanukovich a segretario dell’importante Consiglio per la Sicurezza e la Difesa.

E se fosse stato davvero Parubiy a organizzare l’attacco a Putin, tramutatosi in tragedia civile? Parry non lo scrive, ma lascia immaginare che uno come lui di una “bravata” del genere sarebbe stato capace. Ed è un fatto che pochi giorni dopo il crash il primo ministro Yatseniuk – il banchiere, faccia rispettabile del governo di Kiev, fortemente spinto dall’assistente del segretario di Stato Kerry, il “falco” neocon Victoria Nuland – ha improvvisamente e inspiegabilmente annunciato le sue dimissioni.

Ma alla fine a dimettersi è stato, pochi giorni fa, proprio Parubiy.

Potrebbe essere che Yatseniuk non volesse in alcun modo essere messo di mezzo, ma il governo abbia “coperto” la cosa.

Parry dubita che si verrà mai a capo della faccenda: troppo avanti si è spinta la politica americana nelle sue accuse alla Russia per smentirsi. E, al contrario di quando gli Stati Uniti accusarono il regime di Assad dell’attacco chimico alla periferia di Damasco, minacciando un intervento in Siria, questa volta non c’è un Putin “moderato” in grado di proporre una via di uscita, come fece il presidente russo offrendo l’arsenale chimico della Siria per disinnescare la miccia.

(Qualcuno dice anzi che proprio quella mossa del Kremlino e l’enorme popolarità che dette al presidente russo, arrivato ad apparire sul NewYorkTimes, avrebbe indispettito una parte dell’ establishment americano, provocando una netta svolta politica, a cui assistiamo).

Negli Stati Uniti si moltiplicano le voci che chiedono chiarezza: dai Veterani dell’Intelligence che hanno rivolto al presidente Obama un memorandum-appello a presentare le prove di un coinvolgimento della Russia. All’anziano senatore Ron Paul, repubblicano libertario noto per le sue idee estreme e scandalose (e per questo mai ripreso dai media), che sul suo sito ha apertamente dichiarato che “gli Stati Uniti stanno nascondendo la verità”. Prontamente ripreso dal sito russo di news RT dove è diventato virale.
E il fatto che la Comunità di Intelligence faccia filtrare certe informazioni che contrastano quelle ufficiali ha un significato, una specie di “avviso” al governo statunitense.
Il giornalista che a suo tempo svelò tante trame, a cominciare dall’affare Iran-Contras, non è tuttavia ottimista. Critica i comportamenti della politica e ancor più del giornalismo, a suo dire appiattito su quel che i politici vogliono far passare, la “narrazione mainstream”. E avvisa:

“In passato questo giornalismo sciatto ha condotto al mattatoio di massa dell’Irak e contribuito alle guerre in Siria e Iran. Oggi la posta è molto più alta. Se può essere divertente accumulare disprezzo verso dei “cattivi” designati come Saddam Hussein, Bashar al Hassad , Ali Khamenei, Vladimir Putin, questa avventatezza sta oggi conducendo il mondo verso un momento molto pericoloso, forse l’ultimo”. 

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