Mentre i combattenti agli ordini del governo regionale dell’Iraq del Nord scappavano a gambe levate davanti all’avanzata dei miliziani dello ‘Stato Islamico’, quelli delle organizzazioni popolari curde di Siria e Turchia ingaggiavano la battaglia con i fondamentalisti e coprivano la fuga di decine di migliaia di loro compatrioti yazidi, di cristiani e turcomanni. I peshmerga di Barzani e Talabani – legati a doppio filo ad Ankara, a Tel Aviv e a Washington – erano stati solo poco più coraggiosi quando si trattava di occupare i centri petroliferi iracheni di Kirkuk e di Tikrit, conservandone il controllo anche quando le autorità centrali irachene ne chiedevano la riconsegna.
Oggi, esattamente come quando servivano quinte colonne alle quali appoggiarsi per invadere ed occupare il paese per ‘portare la democrazia’ – sappiamo come è andata a finire! – sono di nuovo i partiti e le tribù curde irachene a rappresentare il cavallo di troia di Washington e di Bruxelles nell’area, strategia rinvigorita dalla necessità di rintuzzare il dilagare dei fondamentalisti sunniti guidati da Abu Bakr al Baghdadi. Improvvisamente la parola d’ordine dei governi che in questi giorni hanno improvvisamente scoperto il pericolo del jihadismo sunnita dopo averlo sostenuto o comunque tollerato contro Teheran, Hezbollah e Damasco, è diventata ‘armare i curdi’. Armare i curdi – ma solo quelli iracheni, che gli altri rimangono nelle liste nere di Washington e Bruxelles in quanto “terroristi” e Ankara può continuare ad ammazzarli impunemente – per evitare di dover mandare un alto numero di soldati statunitensi ed europei il cui invio nella regione non sarebbe ben visto dalle popolazioni dei rispettivi paesi alle prese con sacrifici e tagli di bilancio.
E allora, pensano le varie cancellerie occidentali, insieme ai caccia e ai droni che bombardano le postazioni dello ‘Stato Islamico’ quel tanto da ritardarne l’avanzata ma senza infierire troppo, basterà mandare nell’Iraq del Nord (o Kurdistan del Sud che dir si voglia) o nei territori limitrofi qualche centinaia di consiglieri, istruttori e membri delle forze speciali ed utilizzare i fedeli peshmerga come carne da macello contro i miliziani jihadisti. A Washington, che ha già mandato circa 600 militari, si è già accodata anche Londra che ha inviato 100 membri delle sue forze speciali in Giordania, e la Francia pare non voglia essere da meno.
Anche l’Italietta di Renzi che rivendica il suo spazio tra i grandi d’Europa – e cerca di convincere gli italiani che saprà evitare il precipitare del paese tra i Piigs – ha già avviato le procedure per ‘sostenere militarmente’ i curdi iracheni. Come? Inviando ai peshmerga un po’ di fondi di magazzino e qualche rimasuglio dell’industria bellica nazionale. Di fatto il sostegno militare di Roma a Erbil dovrebbe limitarsi a un po’ di sistemi logistici, a qualche migliaio di vecchi kalashnikov e a qualche tonnellata di munizioni sequestrate nel 1994, durante le guerre balcaniche, ad una nave da trasporto partita dall’Ucraina e diretta a Spalato. Si parla anche di vecchie pistole Beretta e di qualche mitragliatrice Browning o Mg da anni non più usate dalle forze armate italiane e ammassate in qualche magazzino a prendere polvere.
Tanto basta alla ministra Mogherini (Esteri) e alla sua collega Pinotti (Difesa) per vantare un importante sostegno dell’Italia alla lotta contro lo Stato Islamico che tale non è. Ma comunque si tratta di una scelta politica foriera di conseguenze per il nostro paese, gettato nuovamente in un conflitto bellico senza che la nostra opinione pubblica abbia avuto alcuna possibilità di informarsi ed esprimersi adeguatamente e senza che neanche il parlamento possa in qualche modo fare a meno di sdoganare una decisione già presa e blindata. Poco importa che il governo iracheno abbia già protestato con gli ‘amici’ del Kurdistan iracheno denunciando come indebita la consegna di armi direttamente ai peshmerga senza il consenso e l’eventuale coordinamento di Baghdad. Poco importa che il rafforzamento dei clan filoccidentali di Erbil non necessariamente porterà ad una maggiore resistenza nell’area contro le scorribande dello Stato Islamico. Poco importa che le rinnovate ingerenze politiche e militari occidentali non faranno che aumentare l’instabilità in un’area già sconvolta da decenni di guerre che hanno portato alla disintegrazione dell’Iraq e poi della Siria, conseguenza dell’irresponsabile strategia di quei paesi che oggi promettono di risolvere tutto con l’invio di armi e soldati. Il rafforzamento dei soli curdi – lo ha fatto notare il solo ministro degli esteri di Berlino, per ora solitario e inascoltato – porterà ulteriore instabilità in Iraq, penalizzando e isolando gli sciiti; la ristabilita ingerenza degli invasori e degli occupanti di qualche anno fa potrebbe oltretutto spingere altre comunità sunnite a parteggiare per le bande jihadiste in nome di un malinteso ma comprensibile ‘fronte comune’ contro lo straniero.
A giudizio di Gianandrea Gaiani, direttore del portale Analisidifesa.it, finora i raid aerei statunitensi contro gli obiettivi jihadisti in Iraq «non hanno avuto un riscontro importante sul campo, dove la situazione non è cambiata molto. Al massimo -rileva- possono aver prodotto un effetto psicologico” ma “il rischio è che una mobilitazione americana finisca per dare ad al-Baghdadi una sorta di `patente´ di nuovo bin Laden. E questo potrebbe far aumentare il numero di sostenitori vicini alla causa jihadista”.
Eppure il governo Renzi vuole andare diritto per la sua strada, accodandosi come sempre hanno fatto i predecessori agli input di Washington e di Bruxelles.
In un parlamento già espropriato della propria sovranità saranno poche le forze politiche che diranno no al sostegno di peshmerga. Quasi sicuramente i rappresentanti del M5S che dovrebbero chiedere che sulla spinosa questione si pronunci il Parlamento con un voto. Dentro ciò che rimane di Sel dopo la scissione ‘Migliorista’ pare che prevalgano i dubbi rispetto all’operazione Renzi-Mogherini, anche sulla spinta della presa di posizione di un vasto arcipelago di realtà associative (confusamente) contrarie al sostegno militare nei confronti di Erbil. Vedremo meglio domani come si posizioneranno le varie forze politiche, dopo che alle 12.30 di fronte alle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, il ministro degli Esteri Federica Mogherini e quello della Difesa Roberta Pinotti relazioneranno sulle loro intenzioni. I due pezzi da novanta dell’esecutivo hanno comunque già annunciato che immediatamente dopo l’innocuo passaggio parlamentare un C-130 possa decollare per l’Iraq del Nord per portare il “determinante contributo di Roma alla lotta contro la pulizia etnica e il fondamentalismo islamico”. Che le stesse bande fondamentaliste realizzano con altrettanta ferocia anche nella confinante Siria, il che i vari governi sponsor di Erbil hanno accuratamente evitato di ricordare.
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