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Iraq: Obama manda altri 300 soldati. Anche Berlino armerà i peshmerga?

Obama l’ha promesso, giurato e spergiurato che mai e poi mai avrebbe coinvolto gli Stati Uniti d’America in una nuova avventura militare in Iraq di cui l’opinione pubblica nordamericana non vuole proprio saperne.
Solo qualche consigliere militare – aveva annunciato – qualche reparto specializzato nella scorta agli aiuti umanitari, qualche marine per proteggere il personale diplomatico di stanza ad Erbil, e qualche giorno di bombardamenti sulle postazioni dei terroristi islamisti, tutto qua. Ma a distanza di poche settimane dall’inizio del ritorno dei militari a stelle e strisce in Iraq appare ovvio che Washington si sta imbarcando in una missione militare assai più consistente di quanto annunciato e forse anche di quanto previsto. Oggi l’annuncio da parte del Dipartimento di Stato dell’invio di ulteriori 300 soldati di diversi corpi nel nord dell’Iraq, di nuovo con la scusa di dover garantire i propri interessi nel paese. E così fanno ben 1100 soldati in tutto, visto che i nuovi arrivati si aggiungeranno agli 800 già inviati a Erbil e dintorni nei giorni scorsi (a volersi fidare degli annunci ufficiali…). 

Che Washington sia preoccupata dall’andamento situazione e abbia la necessità di tutelare i propri interessi nell’area non è del tutto una scusa. L’esercito dei fondamentalisti sunniti che occupa vaste porzioni dell’Iraq e della Siria è andato assai al di là di quanto Washington ha benevolmente tollerato finché le bande di Abu Bakr al Baghdadi si scagliavano contro contro la ‘mezzaluna sciita’ nemica degli Stati Uniti. Ora però che lo ‘Stato Islamico’ minaccia un paese chiave come la Turchia – che pure ha favorito non poco l’affermazione nell’area delle milizie jihadiste contro Teheran, Damasco ed Hezbollah – e rischia di spazzar via la regione autonoma curda nel nord dell’Iraq, pedina di Washington fondamentale nell’area, Obama non può più permettersi di fare il timido e deve agire in fretta. Prima che la propria posizione di forza ritrovata dagli USA strumentalizzando la minaccia jihadista e motivi umanitari oggettivi permetta ad alcuni dei suoi alleati – che in realtà sono sempre più competitori di Washington e dei suoi interessi – di sfruttare le stesse dinamiche per mettere un piede in Medio Oriente. Da una parte Gran Bretagna, Francia e Italia che utilizzando gli stessi argomenti di Obama stanno mandando caccia, armi e consiglieri militari in ‘aiuto’ dei curdi dell’Iraq, dall’altra le petromonarchie sunnite che finanziando e sostenendo l’Isis rivendicano di essere padroni in un Vicino Oriente che considerano sempre più il loro ‘cortile di casa’. A far rizzare le orecchie alla Casa Bianca – e al Pentagono – deve essere stato il sottile cambio di strategia da parte del governo tedesco. Che pochi giorni fa aveva, attaccando implicitamente gli Usa, denunciato che armare i curdi di Barzani avrebbe indebolito la lotta contro gli islamisti sunniti rendendo l’Iraq ancora più instabile, ma che ora sembra aver acconsentito anch’essa all’invio di sistemi logistici e armi ai peshmerga. Prima dovrebbe essere inviata una for­ni­tura di caschi e giub­botti anti-proiettile agli impreparati soldati del Kurdistan meridionale, mentre in un secondo tempo dovrebbero par­ti­e armi vere e proprie. Più o meno i fondi di magazzino inviati con rombare di tamburi da Matteo Renzi e soci. Ma quanto basta per diventare un partner del governo di Erbil e mettere un piede a Baghdad, proponendosi alla classe dirigente irachena – così come da tempo cerca di fare la Francia – come un utile contrappeso alla prepotenza statunitense. Indicative le dichiarazioni della mini­stra tede­sca della Difesa, Ursula von der Leyen, in un’anticipazione del set­ti­ma­nale «Die Zeit»: «Anche i nostri part­ner si aspet­tano la nostra par­te­ci­pa­zione senza muri nella testa».
Ora, affermano alcuni analisti non senza qualche ragione, se Washington vuole fare il salto di qualità deve cominciare a spingere sulla necessità di contrastare gli eserciti jihadisti sunniti anche in Siria, il che potrebbe permettergli di intervenire in un teatro di guerra che ha alimentato assai sostenendo proprio i fondamentalisti che ora dice di voler combattere e che fino ad ora non ha potuto praticare per la saldatura dell’alleanza tra Mosca e Teheran. Fantapolitica? Vedremo. Intanto a dire che i bombardieri di Washington debbano estendere i loro raid contro l’Isis nella vicina Siria ci pensa l’ultrà repubblicano John McCain, quello che anni fa incontrava i leader delle bande islamiste che combattevano contro il governo Assad così come più tardi è andato in turnè a Kiev a sobillare Piazza Maidan contro il governo ucraino.

Leggi: Chi finanzia lo ‘Stato Islamico’? Le petromonarchie arabe

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