Alla fine la cosiddetta candidata socialista – in quanto espressione del Partito Socialista Brasiliano – ed ecologista – ruppe con il governo Lula, di cui era ministra dell’ambiente, proprio sui temi dell’ecologia – ha scelto la destra.
Alle scorse elezioni presidenziali Marina Silva aveva scelto di non dare indicazioni di voto per il ballottaggio, e così una parte consistente dei suoi elettori al secondo turno scelsero di votare per la leader del Partito dei Lavoratori, Dilma Rousseff, poi uscita vincitrice. Forse per questo stavolta le lobby e gli ambienti economici e politici brasiliani che hanno sostenuto la sua candidatura le hanno chiesto – e hanno ottenuto – una chiara indicazione di voto per Aecio Neves, il grigio candidato del centrodestra piazzatosi secondo al primo turno dopo la presidente uscente.
Una scelta che potrebbe mettere a rischio la vittoria, domenica prossima, dell’ex guerrigliera socialdemocratica, che non ha certo brillato per verve riformatrice durante il suo primo mandato ma che, vista la possibilità di un’affermazione della destra ideologica ed economica filo statunitense, riceve in queste ore il sostegno di movimenti sociali, sindacali e politici della sinistra che l’hanno in questi anni criticata anche aspramente.
Nell’ultimo sondaggio pubblicato dai media brasiliani Dilma supera l’avversario di soli 2 punti percentuali, un vantaggio che non assicura di certo il risultato anche se la rilevazione, realizzata dall’istituto demoscopico Datafolha per Tv Globo e Folha de Sao Paulo rivela che le intenzioni di voto per Rousseff sono aumentate di 3 punti rispetto all’ultimo sondaggio della stessa azienda, fatto una settimana fa, mentre Neves è sceso di due punti. Il risultato finale, stando a Datafolha, sarebbe 52% contro 48%.
E’ proprio sull’elettorato giovanile, urbano e tendenzialmente appartenente alle nuove classi medie che ha sostenuto Marina Silva al primo turno che punta il leader del Partito della Socialdemocrazia Brasiliana (Psdb, di destra) per battere la favorita. Nel primo turno, lo scorso 5 ottobre, Dilma Rousseff ha vinto con il 41,5% dei voti, contro il 33,5% ottenuto dal senatore socialdemocratico e il 21% della ex rossa ed ex verde Silva. Il che vuol dire che la destra ha teoricamente i numeri per vincere, se è capace di coalizzare i rispettivi elettorati. E così Neves e Silva si sono incontrati in un meeting pubblico organizzato a San Paolo e si sono abbracciati, con il candidato della destra che ha parlato di “un momento storico per ottenere un cambiamento”. “Questo è il momento più importante della mia campagna. Smetto di essere candidato di un partito per essere il rappresentante di un grande movimento di trasformazione, di valori, priorità e posizioni” ha enfatizzato Neves che punta su ciò che Silva rappresenta simbolicamente per l’elettorato di sinistra per sottrarre voti alla sfidante. In cambio del suo sostegno al senatore di destra “Marina” ha chiesto a Neves, in caso di vittoria, la realizzazione di alcune delle riforme che Dilma non ha voluto o non ha potuto realizzare in tanti anni di governo: la riforma agraria, innanzitutto, una maggiore protezione dell’ambiente e il proseguimento dei piani sociali di assistenza ai poveri.
Uno specchietto per le allodole agitato davanti a un elettorato di sinistra deluso e disilluso da tanti anni di promesse mancate da parte di un Pt sempre più moderato e conformista, sconvolto da ondate di scandali per corruzione e lontano ormai dalle battaglie epiche che hanno contraddistinto la prima fase dell’era in cui il partito era guidato dal metalmeccanico Lula da Silva (che non a caso negli ultimi giorni è sceso in campo a fianco della Rousseff per recuperare qualche consenso). Se vincerà le elezioni Neves né potrà né vorrà rispettare quanto chiesto, strumentalmente, dall’ex candidata ecologista. Il suo programma, al di là della fuffa buonista nei confronti di poveri e svantaggiati, parla di un riorientamento delle relazioni del Brasile verso Stati Uniti e Unione Europea, e di un allentamento di quelle stabilite in questi anni con gli altri paesi latinoamericani nell’ambito dell’Alba. La Rousseff ha in questi anni contribuito enormemente al rafforzamento dei rapporti con le economie del resto dell’America Latina e al consolidamento delle relazioni con i paesi emergenti, in particolare firmando accordi con il resto dei cosiddetti Brixs – Russia, Cina, India e Sudafrica – per fondare una banca comune per gli investimenti e favorire uno sganciamento dal dollaro. Brasilia ha inoltre incrementato gli sforzi per rendere il paese più indipendente dalle tecnologie statunitensi in fatto di internet dopo quanto rivelato da Snowden a proposito del sistematico spionaggio dell’intelligence di Washington nei confronti dei governi dell’area. Mosse che non sono piaciute affatto agli Stati Uniti e neanche troppo all’Unione Europea che aspirano a tornare a relazioni con Brasilia improntate alla subalternità del partner latinoamericano.
Non sono quindi solo gli elettori brasiliani a tenere il fiato sospeso in vista del ballottaggio del 26 ottobre, ma anche tutti i movimenti sociali, politici e sindacali progressisti e rivoluzionari dell’intero continente.
Marina Silva promette ai brasiliani una “terza via” che somiglia tragicamente all’oscuro passato di un Brasile che in questi anni è cambiato, anche se sicuramente non abbastanza. Per questo domenica moltissimi elettori voteranno contro Neves senza alcun entusiasmo per Dilma, coscienti che se dovesse vincere la destra filoamericana la società brasiliana potrebbe tornare tragicamente indietro di almeno 20 anni.
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