E’ di ieri la notizia che il regime ucraino ha chiesto all’Unione Europea un prestito aggiuntivo di 2 miliardi di euro, rispetto a quelli già ricevuti finora, per pagare il gas alla Russia, che dopo il golpe filoccidentale si rifiuta di continuare a rifornire Kiev nonostante miliardi di euro di debiti. La somma chiesta a Bruxelles è esattamente quella reclamata da Mosca entro la fine di ottobre per riprendere le forniture di gas, sospese nel giugno scorso. Da Bruxelles, dove si tiene da giorni la riunione UE-Ucraina-Russia sulla questione energetica, il portavoce della Commissione Europea Simon O’Connor ha informato che la richiesta dell’esecutivo Yatseniuk “sarà ora esaminata in consultazione con il Fondo monetario internazionale”.
E’ l’ennesimo segnale di debolezza da parte dei nuovi governanti ucraini, messi in sella da un golpe sostenuto attivamente da Unione Europea e Stati Uniti ma che non sembrano in grado di gestire una situazione sempre più traballante. Il nuovo regime si definisce ‘nazionalista’ e impronta tutta la sua politica sull’ostilità nei confronti della Russia e sull’esclusione della popolazione ucraina di lingua e cultura russa, consegnando di fatto il paese nelle mani della troika europea e della Nato.
Ma intanto l’economia va a picco, rapidamente, e i prestiti concessi da Ue e Fmi non fanno che peggiorare la situazione, come è del resto già accaduto nei paesi della periferia interna dell’Unione Europea – i famosi Pigs – strozzati dai diktat dei cosiddetti ‘paesi creditori’.
Non sono temi esattamente al centro della campagna elettorale che porterà alle elezioni legislative del 26 ottobre ma l’Ucraina è alle prese con una industria paralizzata, con i prezzi in costante salita, con il crollo delle esportazioni, l’aumento verticale dell’emigrazione e della disoccupazione. E con l’incognita gas prima citata. Per non parlare dei miliardi – che Kiev non ha – spesi per finanziare una guerra contro le province ribelli del Donbass che tra l’altro non sta affatto portando ai risultati sperati.
Già in recessione da oltre un anno e sull’orlo del default quando a fine 2013 è scattata la contestazione contro il presidente Viktor Yanukovich, l’economia ucraina da allora ha accelerato il crollo. Il piano di salvataggio da 27 miliardi di dollari accordato nella primavera dall’Occidente, coalizzato attorno a un prestito stand by da 17 miliardi dal Fondo Monetario Internazionale, appare insufficiente davanti al grave quadro che si è creato nel frattempo. Il caos politico ha contribuito ampiamente alla fuga degli investitori, spingendo la valuta ucraina verso il basso – la grivna ha perso circa la metà del valore che aveva all’inizio dell’anno – e i prezzi verso l’alto.
La scontata perdita della Crimea in conseguenza del golpe e la guerra scatenata contro gli oblast di Donetsk e Lugansk hanno privato il paese del suo cuore industriale e minerario. Le fabbriche metallurgiche e chimiche che costellano la regione sono da tempo in declino, è vero. Tuttavia, ad agosto la produzione industriale era in calo di oltre il 20% rispetto all’anno precedente. Il territorio controllato dalle Repubbliche Popolari – che hanno dichiarato la propria indipendenza scontrandosi non solo con Kiev ma anche con i piani più morbidi di Mosca – rappresenta solo il 3% dell’intera superficie dell’Ucraina, ma generava prima del golpe il 16% del Pil del paese per quanto riguardava la produzione industriale e addirittura il 27% nel settore delle esportazioni.
I partiti del campo nazionalista che si presentano alle elezioni fanno a gara a vantare il proprio protagonismo nel ‘ritorno alla democrazia’ dopo la defenestrazione del precedente governo, ma il nuovo esecutivo che nascerà dal voto del 26 ottobre dovrà approvare in tempi rapidi pesantissime e radicali controriforme economiche per rispettare gli impegni assunti nei confronti dei nuovi padroni occidentali, Troika in particolare, in cambio di un maxiprestito che come scrivevamo si è rivelato finora insufficiente: privatizzazioni, licenziamenti di massa nel settore pubblico, chiusura di centinaia di imprese statali, blocco degli stipendi e delle pensioni, aumento della bolletta elettrica. Una stangata senza precedenti per una popolazione ucraina che in parte si gode ancora, ignara, i frutti propagandistici della cosiddetta ‘rivoluzione’ di EuroMaidan.
Un rapporto pubblicato poche settimane fa dalla Banca Mondiale sulla situazione economica ucraina parla chiaro: crollo valutario, economia in panne, corruzione endemica, fuga degli investitori, crisi del gas con la Russia. “L’Ucraina affronta sfide e rischi senza precedenti” ha riassunto il capo dell’ufficio della Banca Mondiale in Ucraina, Qimiao Fan, annunciando che il Pil del Paese quest’anno cadrà almeno dell’8%, in netto peggioramento rispetto al meno 5% pronosticato solo a giugno. L’inflazione a settembre ha superato il 17%.
Il crollo delle entrate fiscali, delle esportazioni e della fiducia degli investitori, per non parlare del conflitto nelle regioni orientali “hanno un impatto del tutto significativo” sull’intero Paese, ha osservato Fan.
Sono questi i risultati che gli elettori ucraini, di ogni fede politica, dovrebbero valutare il prossimo 26 ottobre. Ma la guerra e le aggressive campagne ideologiche di stampo nazionalista e a volte apertamente fascistoidi messe in campo dal nuovo regime sembrano per ora riuscire a nascondere la polvere sotto al tappeto.
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