Il Burkina Faso festeggia la partenza di Blaise Compaoré. Ma torna a camminare al ritmo di Thomas Sankara – a 27 anni dal suo assassinio — oppure corre il rischio di essere un’altra «primavera» manipolata? L’intensa esperienza rivoluzionaria sankarista fu interrotta nel 1987 con un sanguinoso colpo di Stato, ordito proprio dal presidente appena fuggito in Costa d’Avorio, con connivenze di potenze regionali e occidentali.
A Ouagadougou, Samsk Le Jah, musicista, conduttore radiofonico, è uno dei leader della protesta. Per lui non c’è dubbio: «Gli ideali di Thomas sono al centro del processo: la dignità, il lavoro sulle coscienze, il coinvolgimento di tutti…». Il movimento di Samsk, «Balai citoyen» (scopa dei cittadini) è mobilitato da oltre un anno, ma ha alle spalle un lungo periodo di educazione e sensibilizzazione — soprattutto dei giovani – per il quale Samsk e gli altri hanno rischiato la vita. Adesso occorrono vigilanza e controllo continui.
Il «Balai citoyen» in un comunicato di ieri — che si conclude con «la Patria o la morte, abbiamo vinto» — chiede di evitare i saccheggi e le distruzioni di strutture civili, ed esorta le «popolazioni degne del Faso a rimanere vigilanti nel periodo di transizione che si apre, affinché la dolorosa vittoria non sia confiscata da politici o militari di parte». Samsk spiega che «non è un colpo di Stato militare»: se l’esercito non si fosse assunto le proprie responsabilità, la città sarebbe caduta nel caos. Il capo di Stato di transizione scelto dai militari, il colonnello Isaac Ziba, ha dichiarato che è stato il popolo a fare la rivoluzione e l’esercito non la scipperà.
Ma come contrastare le inevitabili ingerenze esterne? L’obiettivo unificante dei manifestanti è stato far cadere il presidente. Finora li hanno lasciati fare. Ma l’opposizione partitica più citata non è certo quella dei partiti sankaristi (ne sono nati tanti nei decenni) ma quella di Zéphirin Diabré dell’Upc (Union pour le progrès et le changement), la fazione ben accetta alla Francia.
Ne è cosciente Alassane Doulougou, che vive da tempo in Campania dove fa il mediatore culturale, oltre che il musicista e l’attore: «Certo che c’è da temere. Sankara ha provato sulla sua pelle cosa vuol dire ribellarsi alla potenza coloniale. Compaoré, ora scaricato, è stato per decenni l’alfiere degli interessi di Parigi nell’area. Altro che mediatore di pace, tutti sanno che era un pompiere piromane! C’è stato il suo zampino nei conflitti in Sierra Leone, Togo, Costa d’Avorio dove appoggiò Ouattara, Togo, Centrafrica». Alassane sogna per il suo paese «una vera rivoluzione, sennò che vuol dire democrazia? Bisogna ricreare uno Stato con il consenso di tutti e bisogna fare come i latinoamericani.
Sankara era amico di Fidel e del Nicaragua. Chavez venne dopo, ma più volte ha citato il leader del paese degli integri». In piazza – nei principali centri del Burkina Faso — di certo «ci sono ragazzi come quel diciassettenne che nel 2007 sulla tomba di Thomas ci venne a dire piangendo che aveva capito e che nel suo remoto villaggio non avrebbe mai più inneggiato a Compaoré».
A proposito: che ne è del mondo contadino, delle maggioritarie campagne, che la rivoluzione degli anni 1980 mise al centro, per essere però stroncata in mezzo al guado, troppo presto? «Purtroppo Compaoré e il suo governo hanno contato sulla miseria delle campagne, dispensando piccoli favori, lavoretti. Occorrerà tempo», spiega ancora Alassane.
Da Ouagadougou, Samsk ci precisa il contenuto sociale che deve avere la rivoluzione– «La nostra Carta degli obiettivi mette le questioni sociali al centro: sono i popoli che fanno le rivoluzioni, e se i popoli non sono in buone condizioni la rivoluzione rimane una speranza.
Quindi occorreranno riforme in tutti i campi. Pochi ricchi si sono accaparrati tante terre. Salute e istruzione sono state sabotate. Non si sa dove andava il denaro ricavato dalle esportazioni minerarie…»
Fonte: Il Manifesto
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