Da una parte la insaziabile sete di risorse energetiche da parte del gigante cinese, dall’altra le sanzioni occidentali che spingono la Russia a cercare nuovi partner ai quali vendere gas e petrolio. E così nel giro di pochi mesi Mosca ha desico di riorientare la vendita degli idrocarburi estratti nel suo sottosuolo verso nuovi lidi, cercando ad est ciò che ad ovest gli è precluso. Ed ha trovato, appunto, Pechino.
Già a maggio, dopo il varo delle prime forti sanzioni da parte di Stati Uniti, Unione Europea, Canada e Australia, in occasione della riunione a Shanghai dei Paesi aderenti alla Cica (Alleanza sulla sicurezza dei Paesi Euroasiatici) i giganti energetici russo e cinese Gazprom e China National Petroleum Corporation avevano siglato un contratto per l’acquisto di gas naturale sulla direttrice a Est della durata trentennale per 38 milioni di metri cubi all’anno, con un costo totale di ben 400 miliardi di dollari. Poi, all’inizio di settembre, sono iniziati di gran carriera i lavori per la costruzione del gasdotto che dovrà portare il gas in Cina.
Ma negli ultimi mesi, visto che l’isolamento commerciale, finanziario, politico e militare della Federazione Russa da parte dei paesi occidentali non sembra prevedere retromarce a breve, il ritmo degli scambi tra Mosca e Pechino è ulteriormente aumentato.
E così lo scorso finesettimana i leader dei due paesi hanno firmato un memorandum tra Gazprom e China National Offshore Oil Corporation che prevede un nuova rotta per la fornitura del gas russo alla Cina pari a ben 30 miliardi di metri cubi nei prossimi 30 anni. Un nuovo progetto destinato a partire nel 2019 che si aggiunge al primo siglato nei mesi scorsi che invece dovrebbe funzionare a regime già nel 2017. Mentre il primo prevede una lunghissima pipeline che congiunga i due paesi ad est, il secondo dovrebbe passare ad ovest. Inoltre un altro produttore russo, la Rosneft, ha concordato di vendere una quota del 10% nella sua unità siberiana alla compagnia di stato cinese Cnpc.
“I1 secondo accordo sul gas tra Russia e Cina in teoria dovrebbe preoccuparci molto più del primo” scriveva l’altroieri Sissi Bellomo su Il Sole 24 Ore. Perché se le forniture promesse a maggio arriveranno da giacimenti della Siberia orientale, in gran parte ancora da sfruttare e privi delle principali infrastrutture di trasporto, il gas venduto con il contratto siglato giorni fa verrà estratto nella Siberia occidentale, cioè la stessa area che rifornisce attualmente i paesi europei. Il che vuol dire che se Mosca destinerà questi giacimenti alla Cina occidentale dovrà chiudere i rubinetti all’Unione Europea. Si tratta di contratti ancora in buona parte da definire, ma che comunque segnano una svolta di tipo storico nelle relazioni tra i due giganti alle prese con un accerchiamento iniziato subito dopo la fine della ‘guerra fredda’ e accelerato assai negli ultimi anni, sia ad est che ad ovest.
Non si tratta di un cambiamento già di per sé epocale solo per quanto riguarda i flussi e la geografia del gas. Infatti il leader russo ha anticipato che al rafforzamento dell’alleanza energetica tra Russia e Pechino potrebbe presto affiancarsi un abbandono del dollaro come moneta di pagamento del gas e del petrolio. Ha spiegato Vladimir Putin parlando ai giornalisti durante il vertice Apec: «Il rublo attraversa un momento difficile, la nostra banca centrale è intervenuta, non abbiamo intenzione di bloccare i flussi di valuta dall’estero, i nostri fondamentali sono buoni, le riserve sono a posto, (…) per questo credo che i tempi siano quelli giusti per un cambio rublo-yuan, più settlement ci sono al mondo meglio è per tutti».
Meglio è per tutti? Mica tanto. Per Pechino e Mosca, sicuramente, ma non per Washington, uscita a pezzi dal vertice dell’Asia-Pacific Economic Council. Se le transazioni tra Pechino e Mosca dovessero avvenire in yuan-rubli invece che in dollari per la già debolissima economia statunitense sarebbero guai seri.
Infatti l’interscambio commerciale sottostante tra Cina e Russia, ha ricordato Putin, «è pari a 88,8 miliardi di dollari (1,6%) e continuerà a crescere al ritmo del 7% nei primi nove mesi, le dinamiche attuali ci portano a immaginare un superamento nel 2015 dei 100 miliardi e dei 200 entro il 2020».
Se l’embargo contro la Russia da parte dei paesi occidentali ha come obiettivo isolare Mosca dai mercati internazionali e danneggiarla, punendola per la sua reazione al colpo di stato filoccidentale andato in scena in Ucraina a febbraio e per il suo sostegno alle repubbliche popolari dell’est del paese, la verità è che potrebbe essere soprattutto l’Unione Europea ad uscire penalizzata da un cambiamento delle alleanze commerciali internazionali che tale atteggiamento aggressivo da parte dell’occidente ha indotto. Ed anche gli Stati Uniti, che sicuramente si stanno avvantaggiando ora del muro contro muro tra Europa e Russia, alla lunga potrebbero uscirne non proprio bene.
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