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La Grecia resiste alla troika, nuovo sciopero generale

La Grecia sarà pure “uscita dal baratro”, come hanno affermato negli ultimi mesi leader politici e media di diversi paesi, eppure ad Atene in questi giorni è in atto un duro braccio di ferro che sembra indicare esattamente il contrario. Un braccio di ferro tra la troika dell’Unione Europea e l’esecutivo ellenico che in parlamento ha deciso di portare solo 16 delle 19 misure di cui i cosiddetti creditori internazionali pretendono l’attuazione in cambio dell’ultima tranche di ‘aiuti’.

Lo scontro più duro è in atto sull’aumento dell’Iva chiesto dall’Ue sui prodotti alimentari e di largo consumo, su un’estensione dei licenziamenti collettivi e su un’ulteriore riduzione delle pensioni, già ampiamente sforbiciate negli ultimi sei, sette anni in obbedienza ai dettati dei poteri forti europei.
Il popolo greco non ne può più della Troika, ma ora sembra che anche il governo di Atene, formato da conservatori e socialisti e incalzato dalla sinistra ex radicale di Syriza, stia resistendo ai diktat di Bruxelles e Francoforte. L’esecutivo è già molto debole e presto si potrebbe tornare al voto; i sondaggi danno già per favorito il partito di Alexis Tsipras e se il governo dovesse obbedire senza colpo ferire agli ordini della troika i due partiti che lo sostengono rischierebbero di essere pesantemente puniti dall’elettorato.

E quindi l’esecutivo di Antonis Samaras questa volta ha lasciato fuori dal progetto di Legge di Bilancio del 2015 alcune delle richieste della Commissione Europea, della Banca Centrale e del Fondo Monetario Internazionale, che quindi hanno rifiutato il loro consenso a quella che una volta si chiamava semplicemente “Finanziaria”. I creditori stimano che l’anno prossimo la Grecia accumulerà un ulteriore debito di circa 3 miliardi di euro e insistono quindi su un ulteriore taglio della spesa pubblica pari a 2,5 miliardi. Ma l’esecutivo Samaras smentisce e parla addirittura di un superavit pari a 6 miliardi e al 3% del Pil. La Legge di Bilancio prevede inoltre un aumento del Pil di circa il 2,9%. Il deficit dovrebbe ammontare solo allo 0,2% del Pil, rispetto all’1,3% del 2014 e all’1,6% del 2013. Un “miracolo” comunque raggiunto a costo di enormi sacrifici imposti alla popolazione ellenica a suon di tagli e licenziamenti. L’esecutivo prevede anche un aumento dei consumi e del turismo, il che permetterebbe anche di accrescere i fondi ottenuti attraverso la tassazione. Le previsioni rosee – forse troppo? – dei ministri di Samaras parlano anche di una diminuzione della disoccupazione dal 24,8% di quest’anno al 22,6% nel 2015.

La Legge di Bilancio verrà votata dal parlamento di Atene il prossimo 7 dicembre, alla vigilia dell’ultimo summit dell’Eurogruppo di quest’anno, durante il quale i creditori decideranno se concedere o meno l’ultima tranche necessaria ad Atene per tirare avanti. Ma vista la resistenza dell’esecutivo ellenico ad imporre tutte le misure previste dalla troika per ora i negoziati sono in stallo e non si sa neanche se e quando gli ispettori della triade torneranno ad Atene per valutare i ‘progressi’ del paese.
La Troika esige il licenziamento di quasi 6000 impiegati pubblici entro la fine del 2014 e di numeri ancora più alti il prossimo anno, una controriforma del lavoro che renda più facili i licenziamenti collettivi, la fine della moratoria sugli sfratti, l’aumento generalizzato dell’Iva al 23% ai beni di prima necessità, un taglio ulteriore delle pensioni e un nuovo aumento dell’età pensionabile per alcune categorie di lavoratori, una stretta sulla legislazione che regola gli scioperi. Se Atene non obbedirà la Troika potrebbe negare la concessione di 1,8 miliardi di euro provenienti dal Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) la cui disponibilità scade il 31 dicembre.

Intanto, dopo un periodo di stanca, le strade delle città elleniche sono tornate a riempirsi di studenti, lavoratori e cittadini. Lunedì scorso decine di migliaia di manifestanti hanno sfilato nel centro di Atene per protestare contro tagli e austerity nell’anniversario della rivolta studentesca del 1973, repressa nel sangue dalla giunta militare. Il 17 novembre di quell’anno i carri armati e i soldati agli ordini dei Colonnelli buttarono giù i cancelli del Politecnico occupato dagli studenti antifascisti e cominciarono a sparare sui giovani che protestavano all’insegno dello slogan “pane, istruzione e libertà”, uccidendone a decine.

Lunedì, circa 40 mila dimostranti hanno marciato da Piazza Syntagma, sede del parlamento, fino all’Ambasciata degli Stati Uniti – che dal 1967 al 1974 sostenne apertamente la dittatura fascista – finché non sono iniziati scontri durati ore anche in altre parti del centro della capitale ellenica, con i giovani che lanciavano pietre e bottiglie e i reparti antisommossa che spandevano il loro micidiale gas lacrimogeno e lanciavano granate stordenti per disperdere la folla. Qualche giorno prima i reparti antisommossa avevano già picchiato e bastonato gruppi di studenti che cercavano di entrare all’interno della Facoltà di Giurisprudenza blindata per l’occasione da centinaia di poliziotti.
Intanto il Comitato Esecutivo dell’Adedy, la maggiore centrale sindacale del settore pubblico in Grecia, ha indetto giovedì 27 novembre un nuovo sciopero generale di 24 ore in segno di protesta contro i licenziamenti nel settore pubblico e la possibilità di nuovi tagli salariali. Alla mobilitazione generale si è unito anche il Gsee, la Confederazione generale dei lavoratori che rappresenta i lavoratori del privato. Anche la Confederazione nazionale dei marittimi (Pno) e l’Ordine degli avvocati di Atene (Dsa) hanno annunciato che prenderanno parte all’astensione dal lavoro proclamata per la prossima settimana. 

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