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Ghani-talebani, un accordo per la vita politica

Cercasi taliban, disperatamente. Per colloquiare, trattare, pianificare un futuro che ad Ashraf Ghani sfugge di mano. Nonostante il patrocinio statunitense della sua elezione, nonostante il superamento dei brogli e dei contrasti quasi armati con Abdullah, nonostante l’affratellamento dei due contendenti la normalizzazione del Paese è pura finzione. Perciò, fra un attentato e l’altro, il presidente afghano s’avvicina a grandi passi al detestato Pakistan, con cui non sono mancati attriti anche recenti. Non solo per le antiche velleità annessioniste dell’ingombrante vicino, ma per l’intento di usare a proprio vantaggio le contraddizioni economiche e militari. Non ultima quella della sicurezza frutto dell’incessante via-vai talebano nella comune frontiera. Col paradosso, da parte del premier Sharif e del suo omonimo responsabile delle forze armate (rispettivamente Nawaz e Raheel), di combattere i Tehreek interni, portatori di morte in casa e tollerare i turbanti interessati alla nazione contigua, quelli della Shura di Quetta. Forse le prospettive per entrambi i governi ora potrebbero mutare se si organizzerà il grande tavolo di trattative cui Ghani tiene moltissimo e al quale lavora di persona. E’ lui a muovere le fila di possibili colloqui che lo interessano soprattutto per salvare le Forze Armate afghane da critiche dissoluzioni, com’è accaduto ad altri eserciti mediorientali, peraltro assai più strutturati e navigati. Per seguire questa via le mosse estere del “presidente diplomatico” hanno finora escluso una visita di cortesia al gigante asiatico indiano, grande avversario di Islamabad.

Contro i propri interessi Kabul ha anche sospeso l’accordo che prevedeva di ristrutturare in particolari aziende indiane di alta tecnologia aerei e tank. Si trattava d’una cospicua commessa che avrebbe fornito ai comandi afghani strumenti indispensabili per un controllo del territorio ora che le truppe Nato portano via zaini e containers. Nelle scorse settimane Ghani, per mostrarsi zelante con la leadership pakistana, ha ordinato ai suoi generali di non dare tregua a quei talebani che avevano colpito Peshawar, rifugiandosi poi a Kunar. In questa provincia circa 200 guerriglieri, fra cui gli assalitori della scuola per i figli dei militari, sono stati eliminati in sanguinosi rastrellamenti. Per contro, finora, l’aiuto pakistano non s’è dispiegato né con azioni militari né con abili convincimenti rivolti ai talebani che continuano a mettere a ferro e fuoco varie province e la stessa Kabul. Anche per il notevole quantitativo di armi di cui dispongono grazie ai mercanti e contrabbandieri pakistani che trafficano alla luce del sole. I due eserciti, che fino a qualche tempo addietro non avevano mancato di spararsi addosso nelle zone di confine, potrebbero studiare piani comuni per la sicurezza. Addirittura gli agenti dell’Inter-Services Intelligence, che mai s’erano abbassati a incontrare i colleghi afghani, dovrebbero iniziare a collaborare. Tale distensione può costituire il prologo per riavviare quel tavolo di trattative con la variegata famiglia talebana che, sul fronte afghano, s’era chiuso nel 2010.

Bisognerà vedere quanto l’Isi e l’esercito pakistano, che hanno dichiarato guerra ai combattenti delle Aree tribali (Fata) subendone contraccolpi durissimi, come dimostra la drammatica strage di studenti a Peshawar, siano disposti a condividere il progetto Ghani. Quest’ultimo ne fa una questione vitale, tanto che per avvicinare i network talebani ha ricevuto anche l’aiuto di Pechino quando s’era recato in visita nella capitale cinese. La potenza asiatica, che in Afghanistan ha in mano straordinarie commesse di sfruttamento del sottosuolo, per far lavorare tranquillamente le proprie aziende vuol farsi garante d’una pacificazione generalizzata in un’area che convive con conflitti pluritrentennali. Lo staff di Li Keqiang porrà il suo peso diplomatico per evitare che Islamabad chiuda occhi e orecchie alle richieste afghane. Ma non è scontato che verrà convinto l’altro attore riluttante: la diplomazia talebana che viene dall’ufficio aperto a Doha e non freme per avviare gli incontri. Tutto ciò mentre voci da Kabul riferiscono che l’eminenza grigia della politica interna – quell’Alleanza del Nord che continua a orientare gli umori della maggioranza pashtun – rimprovera a Ghani di concedere troppo ai pakistani senza ricevere niente in cambio. Il piano di Ghani scricchiola e mostra una difficoltosa praticabilità. L’unica sua chance può essere rappresentata da un bagno di realismo che dovrebbe portare ogni soggetto a considerare come le “non soluzioni” possono solo acuire i problemi.

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