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Colombia: provocazioni di esercito e governo contro le Farc

In un comunicato, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia hanno denunciato “pressioni” per raggiungere un accordo di pace con il governo entro l’anno.

“Dopo il suo ritiro spirituale a Cartagena il presidente (Juan Manuel Santos) ha detto che l’istruzione principale ai suoi delegati all’Avana consiste nell’accelerare al massimo la concretizzazione di un accordo, che diversi editorialisti prevedono per i primi mesi del 2015” osserva la guerriglia in una nota diffusa da Cuba, sede del processo di pace.

Per la guerriglia colombiana “è che chiaro che Santos non ha il minimo interesse a estendere i colloqui di pace” e che così facendo dimostra di non voler esaminare “le cause del conflitto e le riforme necessari per portarlo a termine”. Le Farc ricordano che Santos ha anche dichiarato pubblicamente che se l’accordo non verrà raggiunto il conflitto potrebbe estendersi per altri 20 anni, “nel cui caso – affermano i guerriglieri – l’inevitabile soluzione consisterà nell’annichilimento della ribellione…”.

Nella stessa nota le Farc mettono anche in discussione i numeri forniti dal ministero della Difesa, secondo cui il gruppo avrebbe perso 8350 uomini in due anni di negoziato. Ma, rilevano, “prima che cominciassero i colloqui di pace lo stesso ministero della Difesa sostenne apertamente che le Farc erano ridotte a meno di 8000 uomini…così che resterebbe solo la delegazione all’Avana…”.

Per le Farc “la cosa veramente importante per la firma di un veloce accordo di pace è la disponibilità del governo a cedere di fronte alle proposte chiaramente esposte in quasi tutte le materie pendenti”.

Nei giorni scorsi i delegati delle Farc a Cuba avevano denunciato che i vertici militari avevano provocato diversi scontri con la guerriglia con l’intenzione di mettere in discussione il Cessate il Fuoco o di convincere la guerriglia, per poterlo mantenere, ad abbassare la posta in gioco nei colloqui in corso all’Avana. Stando alla guerriglia, il 31 dicembre una pattuglia dell’esercito ha assaltato alcune unità della colonna Teófilo Forero delle Farc nei pressi del municipio di Algeciras, nel dipartimento del Huila. Il 1 gennaio l’esercito ha aperto il fuoco contro la Colonna Jacobo Arenas, con il risultato di 6 militari morti ed un guerrigliero ferito. Altri episodi simili sono stati segnalati nelle regioni nel Caquetá e nel Meta.
E’ anche sui quasi 10 mila prigionieri politici rinchiusi nelle carceri della Colombia che gli ambienti più reazionari dell’oligarchia del paese esercita il proprio ricatto. E in presenza di nuovi episodi di brutalità nei confronti dei detenuti politici con l’inizio del nuovo anno la Rete Internazionale di Solidarietà con i Prigionieri Politici Colombiani ha rinnovato il consueto appello per la loro liberazione. L’ingiustizia che hanno patito, denuncia la Rete, è colossale: “si pensi al caso di Ballesteros, leader sindacale arrestato il 25 agosto 2013 durante lo sciopero agrario, e in prigione da allora, senza sentenza né condanna. Nel maggio del 2014 un giudice gli ha rifiutato i domiciliari, richiesti per motivi di salute. A lungo vicepresidente della Federazione Sindacale Agraria, la Fensuagro, portavoce e membro fondatore del movimento politico Marcia Patriottica, è accusato di ribellione e finanziamento delle FARC sulla base di evidenti montature; anche il professor Beltrán è accusato di essere membro delle FARC, sulla base di prove universalmente riconosciute (anche da diverse sentenze della magistratura colombiana) come rimaneggiate ad arte. Liliany Obando condivide l’accusa di “ribellione” con Beltrán e Ballesteros, ricavata da computer requisiti ai Comandanti Raúl Reyes e Alfonso Cano e, come Beltrán, era una ricercatrice ed una docente universitaria. Rabelo, che ha reso pubblici i vincoli di Uribe con i capi paramilitari della sua città natale, Barrancabermeja, è in prigione dal 2010. La persecuzione degli oppositori politici al regime è feroce e inappellabile, poiché l’oligarchia non tollera che vengano denunciati pubblicamente i suoi crimini; e chi lo fa, come i quattro compagni citati, deve essere fermato ad ogni costo”.

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