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Yemen: i ribelli sciiti occupano la capitale, l’ira dell’Arabia Saudita

Nei giorni scorsi i media internazionali, riprendendo le veline delle petromonarchie arabe che sostengono l’attuale regime al potere nel paese, parlavano di “tentativo di colpo di stato”. Ma quella che sta andando in scena a Sana’a è assai più simile a una ribellione messa in atto in nome della popolazione sciita che da tempo soffre sotto il tallone dei sunniti sostenuti da Riad. Un epilogo traumatico per la guerra civile strisciante che dura ormai dal 2012, quando la rivolta popolare portò alla destituzione del dittatore Abdullah Saleh senza però ottenere una più equa distribuzione dei proventi derivanti dalle esportazioni di greggio e una inclusione delle minoranze nella gestione del paese.

Negli ultimi giorni i ribelli sciiti Houthi si sono rapidamente impossessati dei principali centri di potere tra i quali il palazzo presidenziale. Ieri alcuni miliziani dell’opposizione avevano preso già il controllo di una parte dell’edificio mettendo “agli arresti” il presidente Hadi. Questa mattina una gran quantità di uomini armati delle milizie sciite hanno preso definitivamente il controllo del palazzo e della residenza presidenziali, più volte bombardati dagli oppositori, cacciando le guardie evidentemente poco motivate.
Da lunedì, quando gli Houthi hanno rapito il capo del gabinetto presidenziale, Ahmed Awad bin Mubarak, ed hanno assaltato alcuni centri di potere nella capitale, scontri armati sono stati segnalati in diverse zone di Sana’a, con un bilancio di alcune decine di morti tra miliziani e soldati. Questi ultimi hanno avuto la peggio e i ribelli hanno potuto assumere il controllo della sede della tv di Stato assediando le sedi istituzionali alcune delle quali poi occupate.
Nel pomeriggio di oggi è poi giunta la notizia che il premier yemenita Khaled Bahhah è fuggito in un “luogo sicuro” nonostante che da ieri gli Houthi abbiano circondato la sede del governo a Sana’a. Il presidente Abdel Hadi Mansur sarebbe tuttora agli “arresti domiciliari”.
Le Nazioni Unite e tutte le principali cancellerie occidentali hanno condannato il ‘golpe’ e il Consiglio di Sicurezza ha affermato che solo il capo dello stato Hadi possiede “l’autorità legittima” per governare il paese. Ma da settembre, l’avanzata territoriale degli sciiti a partire dai territori nordoccidentali in cui sono concentrati è stata veloce e inarrestabile, con la conquista della capitale e delle regioni centrali e occidentali del paese, potendo contare su una crescente arrendevolezza dell’esercito indebolito dal malcontento dei settori popolari sunniti e soprattutto dai continui attacchi delle bande di Al Qaeda che  controllavano – e controllano ancora – ampie zone dello Yemen, in particolare le regioni meridionali.
Invece di accettare l’inclusione della minoranza sciita del nord povero nel governo e venire a patti con gli Houthi, il regime sunnita, incitato dall’Arabia Saudita ha concesso al massimo una sorta di federalizzazione con la divisione del paese in sei diverse entità amministrative, una sola delle quali appannaggio della minoranza esclusa da tutto il resto dell’amministrazione. Nei giorni scorsi l’Arabia Saudita aveva esplicitamente ammonito il presidente Hadi a rigettare in toto le richieste dei ribelli sciiti.

Il paese è uno degli Stati della penisola arabica dove le strutture della rete di Al Zawahiri sono più radicate e potenti; è da lì che è partita la rivendicazione della strage nella redazione di Charlie Hebdo, a Parigi; ed è lì che si addestrano e armano molti dei jihadisti poi mandati a combattere in Iraq e Siria (o a compiere attacchi in Europa).
La guerra civile che insanguina lo Yemen, non è un segreto, è anche il risultato della divisione del Medio Oriente tra asse sciita e asse sunnita. Mentre l’Iran sostiene gli Houthi, Teheran accusa Riad di puntellare il regime yemenita per ampliare la propria egemonia politica, economica e militare nella regione. In particolare in un paese che è strategico per il controllo dello stretto di Bab el Mandeb, che collega il Mare di Aden al Mar Rosso, e quindi delle rotte petrolifere e del Corno d’Africa. 

L’avanzata sciita nelle regioni centrali cambia, almeno per ora, l’assetto nel quale il paese era stato tenuto finora dal regime sunnita sulla base dell’antica e mai tramontata strategia del divide et impera: gli sciiti relegati al nord, il sud appannaggio delle tribù secessioniste infiltrate da Al Qaeda, il centro ricco di petrolio dominio incontrastato delle tribù sunnite. Occorrerà attendere per capire se e quanto l’iniziativa degli Houthi cambierà l’equilibrio delle forze nel paese, in attesa anche di comprendere quali iniziative prenderanno le petromonarchie che certamente non accetteranno senza colpo ferire di perdere il controllo della situazione. Molto preoccupati anche gli Stati Uniti, alleati e competitori dell’Arabia Saudita e finora sostenitori del (ex?) governo di Sana’a che in queste ore potrebbe essere completamente disarcionato dalla ribellione, anche se alcuni fonti – tra le quali la qatariota Al Jazeera – sostengono che Hadi non sia agli arresti e che anzi avrebbe incontrato i leader sciiti per trovare un accordo.

Intanto le tre province del sud (Aden, Abyen e Lahaj) hanno blindato i loro confini con il centro ed il nord per impedire un eventuale attacco dei ribelli che per ora sembrano aver «conquistato» tutti i media nazionali e la più grande base missilistica del paese, situata su una collina sopra Sana’a. 

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