Il 18 luglio del 1994 un kamikaze si fece saltare in aria all’interno dell’Amia (Associazione Mutualità Israelita Argentina) a Buenos Aires uccidendo 85 persone e provocando centinaia di feriti. Due anni prima una bomba era esplosa contro l’ambasciata di Israele facendo 29 vittime.
Nel 2004 l’allora presidente Nestor Kirchner nominò il procuratore Alberto Nisman a capo dell’inchiesta. Nisman scartò ogni eventuale pista interna o esterna per concentrare l’attenzione sulla pista iraniana, fino a chiedere il sequestro dei beni e l’estradizione di otto alti responsabili di Teheran, fra i quali l’ex presidente iraniano Hashemi Rafsanjani e l’ex ministro della Difesa Ahmad Vahidi.
Pochi giorni fa il giudice Nisman, che indagava anche sulla presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner in relazione a due attentati è stato trovato senza vita. La scena del delitto presenta alcune stranezze e incongruenze.
Media internazionali, opposizione di destra argentina e comunità ebraica di Buenos Aires non ci hanno messo molto a emettere il verdetto: a far uccidere lo scomodo giudice che indagava su di lei e sui suoi presunti complici – agenti iraniani o di Hezbollah – non può che essere stata lei, l’odiata Cristina.
Se così fosse la Kirchner avrebbe commesso un gravissimo errore, facendo di se stessa la prima – e finora unica – sospettata. Il “cui prodest” che è spesso l’unico principio guida dei complottisti – ingenui o in malafede, fa poca differenza – la incolpa, la incastra, la inchioda al banco degli imputati.
Ed infatti negli ultimi giorni le strade delle principali città del paese, alle prese con l’ennesima crisi economica, si sono riempite di slogan e cartelli – esemplare quello che recita “Muerte a la cretina” – contro la presidenta, gli stessi che hanno animato in questi anni le varie campagne di odio dell’oligarchia e degli ambienti reazionari argentini contro Cristina Fernandez de Kirchner. Rea di aver fatto uscire, assieme al marito di cui ha preso ad un certo punto il posto, il paese dal cortile di casa statunitense, di averlo sottratto al tallone del Fondo Monetario Internazionale, di averlo condotto su posizioni di politica estera indipendenti dai blocchi imperialisti avvicinando l’Argentina ai paesi dell’Alba. Che Cristina sia senza macchia è difficile dirlo, ma le leggi e i provvedimenti contro alcuni dei più brutali torturatori dell’epoca della dittatura militare parlano da soli. Così come il crescente allontanamento del governo di Buenos Aires dai diktat di Israele e dagli interessi dell’influente comunità ebraica locale. Si spiega quindi, al di là, del caso Nisman, la campagna che la parte più reazionaria e oltranzista de la comunidad judia di Baires sta conducendo contro la Kirchner, di cui vengono chieste le immediate dimissioni.
Ma la realtà è che per ora, al di là di alcune incongruenze – alcune reali, altre inventate dai quotidiani dell’oligarchia, il Clarìn e la Naciòn, di proprietà dei suoi nemici politici – di quello che è accaduto al giudice Nisman non si sa molto. Nessuno sa se Nisman si sia suicidato o sia stato assassinato.
Fatto sta che, Viviana Fein, il Pubblico ministero incaricato delle indagini, ha affermato che “nella morte di Alberto Nisman non sono intervenute terze persone”. Esattamente quanto afferma il referto finale dell’autopsia. Nisman è stato trovato senza vita alle 22 di domenica scorsa all’interno del suo appartamento, in un edificio controllato da una decina di agenti di polizia e guardie del corpo, con accanto al corpo un’arma che pochi giorni prima aveva chiesto lui stesso ad un collaboratore della procura. Un primo esame ha però rilevato che non ci sarebbero tracce di polvere da sparo sulle sue mani. I dubbi sulla morte del magistrato, per ora quindi permangono. Certo, viene da commentare che se anche il capo dello stato argentino o i servizi iraniani avessero avuto intenzione di togliere di mezzo “lo scomodo procuratore”, avrebbero avuto a disposizione una discreta gamma di strategie per dare meno nell’occhio; bastava minarne la credibilità, rimuoverlo dal suo incarico e tanto altro ancora.
Ma a quanto pare Nisman non era poi così “scomodo” come ora appare dalle agitate cronache dei media mainstream. La tesi di Nisman era che il governo argentino aveva accordato l’immunità a quello iraniano, ritenuto da alcuni ambienti responsabile della strage all’Amia, in cambio di un prezzo di favore sulle forniture petrolifere. Ma l’ex segretario generale dell’Interpol dal 2000 al 2014, Ronald Noble – uno statunitense, non certo un amico o un complice dell’Iran o dei Kirchner – ha più volte affermato che le tesi sostenute da Nisman erano prive di fondamento e palesemente false, smentendo tra l’altro – come invece affermato dal procuratore trovato morto domenica – che il governo avesse avuto intenzione di cancellare i mandati di cattura emessi a suo tempo contro alcuni sospetti di nazionalità iraniana. Giorni fa il giudice incaricato del processo Amia, Canicoba Corral, aveva affermato che “la denuncia di Nisman ha scarso o nullo valore probatorio. Si basa solo su alcune dichiarazioni dell’intelligence (con la quale Nisman aveva uno stretto legame, così come con l’ambasciata statunitense ndr). Scrissi al procuratore che avrebbe dovuto andare più a fondo sulla pista iraniana, perché le sue prove erano basate esclusivamente sui rapporti dei servizi segreti (…) Ora mi accorgo che non ha fatto nulla di quanto gli ho suggerito e che ha passato gli ultimi quattro anni a stilare una denuncia senza neanche informare i giudici”.
Era in questa situazione affatto comoda che Nisman avrebbe dovuto affrontare una audizione al Congresso per informare il parlamento sull’evoluzione dell’inchiesta e per presentare un atto d’accusa nei confronti della presidente Kirchner e del ministro degli esteri Hector Timerman, lungo ben 300 pagine ma dai più definito inconsistente.
Sabato scorso chiese a un suo collaboratore di prestargli una pistola “per ragioni di sicurezza” non meglio specificate, che poi è la calibro 22 con la quale si è apparentemente sparato alla testa.
Ma non presentò alcuna denuncia formale per una eventuale minaccia nei suoi confronti e addirittura rifiutò l’offerta da parte della Procura di aumentare il dispositivo di sicurezza che lo proteggeva. Segno che non era una eventuale minaccia esterna a preoccuparlo.
Da parte sua Cristina Kirchner ha denunciato l’uso politico e strumentale della morte del procuratore ed ha ordinato alla direzione dei servizi di intelligence di rendere pubblici tutti i documenti relativi all’attentato all’Amia.
Il giornalista d’inchiesta Horacio Verbitsky ed altri media indipendenti, invece, invitano ad appuntare l’attenzione sui rapporti tra una parte della magistratura argentina e alcuni elementi dell’intelligence di Buenos Aires legati ai servizi di Washington e di Tel Aviv. Tra questi quell’agente Jaime Stiuso, rimosso di recente dalla Kirchner – insieme ad un altro folto gruppo di membri dei servizi segreti argentini ereditati dai tempi della dittatura militare di estrema destra – e definito da molti come una sorta di padrino di Alberto Nisman.
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