L’Arabia Saudita ha annunciato ieri la scomparsa del suo sovrano. In una penisola arabica galleggiante sul petrolio e attraversata da fortissime tensioni, si aprono scenari niente affatto definiti. Abdullah bin Abdulaziz al Saud era diventato il monarca della principale petromonarchia del Golfo nel 1995 quando il suo predecessore, Re Fahd, era stato colpito da un ictus invalidante. Ma per diventare re a tutti gli effetti dovette attendere dieci anni: il 2005, quando re Fahd morì ufficialmente. La sua ascesa non fu lineare perchè diritti alla monarchia venivano accampati anche da altri due principi ereditari: Sultan, di 81 anni e Nayef di 79, morti però nel giro di pochi mesi. Non solo. Era stato escluso dalla linea di successione il terzo erede Salman, di 80 anni, malato di Alzheimer ed un altro candidato, Ahmed, di 79 anni, era stato dimesso dalla carica di ministro degli Interni perché si era opposto a una riforma delle forze di sicurezza.
Il trono, in teoria dovrebbe andare al più giovane tra i figli sopravvissuti di Abdulaziz al-Saud: il principe Murquin, che però ha quasi 70 anni. Ma quasi tutte le notizie indicano come sostituto il fratellastro di Abdullah, Salman bin Abdul Aziz che però ha 80 anni e non gode di buona salute, mentre l’erede designato sarà proprio il principe Murquin.
Orientarsi nel sistema ereditario saudita è però una scienza estremamente complessa spiega oggi Ugo Tramballi sul Sole 24 Ore. “A febbraio Murqin era stato nominato vicepremier, la carica che prelude al trono: in Arabia Saudita il primo ministro è il re, il vice di fatto già amministra il Paese. Ma il mese successivo, per essere più chiaro sulle sue intenzioni, Abdullah lo aveva anche scelto come vice-principe ereditario, saltando altri fratelli più anziani. Da che esiste la monarchia e il Paese, re è sempre stato il figlio maschio più anziano di Abdulaziz, il fondatore di tutto”.
Per essere più esplicito Tramballi ironizza sul fatto che “Tre discipline erano considerate le più difficili per uno studioso della politica: la cremlinologia, la Curia romana e la casa reale Saudita” Ma in modo meno pittoresco sottolinea come “L’apparente semplicità della successione dinastica nasconde i problemi e le possibili fragilità del regime”.
Prima di morire, re Abdullah aveva annunciato un vasto piano di spese sociali: assunzioni nel settore pubblico, aumenti salariali, 500mila case popolari con una spesa prevista di 130miliardi di dollari, scrive il Sole 24, secondo cui questa operazione aveva il compito di prevenire l’esplosione di una “Primavera araba” anche nel Golfo. Ma, secondo il Fondo Monetario Internazionale, si tratta di una spesa insostenibile anche per il primo produttore mondiale di petrolio. La disoccupazione è al 12% ma è al 40% fra i sauditi di 20/24 anni. Tre milioni di persone – su 18 milioni di abitanti e 8 milioni di immigrati stranieri – vivono sotto la soglia di povertà.
A complicare la successione dinastica nella già complessa situazione dell’Arabia Saudita c’è il contesto regionale. La conquista del potere della componente sciita nel vicino Yemen – nemica storica e giurata dei Saud – ha suscitato rabbia ed enormi preoccupazioni nella petromonarchia saudita. Come noto, gran parte delle popolazioni nelle altre petromonarchie del Golfo sono sciite e sottoposte ad un regime repressivo e di sottomissione in quanto ritenute quinte colonne dell’Iran.
Non solo. L’abbassamento del prezzo mondiale del petrolio si è abbattuto come un tornado sulle casse dei paesi produttori del Golfo che stanno giocando una partita su più tavoli. Alleati degli Usa in alcuni casi, finanziatori neanche troppo occulti dell’Isis in altri. Disposti all’alleanza con Israele in nome del comune nemico iraniano, alcuni di essi (Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) hanno contribuito all’abbattimento del governo dei Fratelli Musulmani in Egitto e si sono schierati contro Hamas, mentre il Qatar gioca una partita opposta. I Sauditi hanno aperto il network televisivo Al Arabya per contrastare l’influenza del network qatariota di Al Jazeera. Tutti insieme hanno represso i vagiti di rivolta e di primavere arabe in Barhein e Oman, animate dalla popolazione sciita. Ma adesso proprio gli sciiti si sono insediati al potere nello Yemen con cui l’Arabia Saudita condivide migliaia di chilometri di confine. La dinastia dei Saud fino ad oggi ha vissuto di rendita sulla custodia dei luoghi sacri dell’Islam – La Mecca – sul petrolio e le relazioni con gli Usa.
La successione dinastica nel regno dei Saud, creato dai colonialisti anglo-francesi alla fine della prima guerra mondiale sulle ceneri dell’impero turco-ottomano, potrebbe essere un altro vortice della tempesta perfetta.
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