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Desaparecidos di Iguala: le piazze vogliono verità e giustizia e accusano i militari

A ormai quattro mesi dalla strage di Iguala, le piazze del Messico sono nuovamente state invase dal variegato movimento che accompagna genitori e compagni degli studenti della Scuola Normale Rurale “Raul Isidro Burgos” di Ayotzinapa, vittime, lo scorso 26 settembre, del brutale assalto narco-poliziesco che ha provocato la morte di 6 persone, il ferimento di altre 25 e la sparizione forzata di 43 adolescenti.

Nell’ambito dell’ottava Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa, iniziative sono state realizzate in quasi tutti gli stati della repubblica messicana e in almeno 70 città a livello internazionale. Anche in questo caso, le parole d’ordine sono state l’esigenza di verità e giustizia e la restituzione in vita degli studenti scomparsi, nonché la rinuncia – le dimissioni – del sempre più contestato presidente Peña Nieto.

Il centro della protesta è stata la capitale, dove la mobilitazione è durata per tutta la giornata e si è posta, riuscendoci, l’obiettivo di bloccare la città. Iniziata di mattina con quattro cortei che dai quattro punti cardinali della metropoli si sono diretti verso il centro storico, la mobilitazione si è conclusa in serata, quando la manifestazione pomeridiana è confluita in Plaza de la Constitución, dove si sono tenuti gli interventi dei portavoce dei genitori dei desaparecidos e dei normalisti. Questi, dopo aver dichiarato di non credere alla versione ufficiale che dà per morti i ragazzi e che pertanto continueranno a cercarli vivi, hanno invitato le organizzazioni sociali e “gli uomini e le donne non organizzati ma coscienti e solidali” a partecipare alla Convenzione Nazionale Popolare che si terrà il prossimo 5 febbraio a Chilpancingo, la capitale dello stato del Guerrero, per iniziare a costruire un movimento nazionale che punti alla trasformazione radicale del paese.

Da sottolineare, la partecipazione dei sindacati indipendenti, i quali, dopo essersi riuniti insieme ad altre decine di organizzazioni con familiari e normalisti di Ayotzinapa, hanno aderito alla mobilitazione, aggiungendo agli obiettivi della giornata le rivendicazioni del mondo del lavoro, martoriato dalle riforme strutturali di stampo neoliberista che, insieme all’atteggiamento repressivo nei confronti delle lotte, stanno caratterizzando l’attuale amministrazione. Oltre ai sindacati più combattivi del mondo della scuola come la Coordinadora Nacional de los Trabajadores de la Educación (CNTE) e la Coordinadora Estatal de los Trabajadores de la Educación Guerrero (CETEG), tra i primi a mobilitarsi insieme agli studenti medi e universitari, hanno partecipato, tra gli altri, l’Unión Nacional de Trabajadores (UNT), diversi sindacati di categoria e organizzazioni contadine come Campesina Cardenista.

Dallo stato di Coahuila allo Yucatán, passando per Veracruz e Oaxaca, per l’ottava volta nel giro di pochi mesi il paese è stato animato da tantissime mobilitazioni. In Chiapas, per esempio, sono state segnalate manifestazioni nelle principali località, mentre normalisti e sindacati della scuola hanno bloccato le vie di comunicazione tutt’attorno a San Cristobal de las Casas.  

Sebbene la protesta non si sia fermata nemmeno durante le vacanze e sia andata avanti con manifestazioni e presidi determinati davanti alle caserme, quella del 26 gennaio è stata la prima mobilitazione di massa del 2015 ed ha rappresentato un’importante risposta al tentativo, da parte di governo e autorità inquirenti, di chiudere il caso nella speranza di frenare il movimento popolare di contestazione e deviare così l’attenzione internazionale e dei media dalla crisi umanitaria che si sta vivendo in Messico dall’inizio della guerra al narcos a questa parte. Una guerra già costata, stando alle cifre ufficiali, più di centomila morti e 23 mila desaparecidos, oltre che la messa in discussione di fatto di diritti fondamentali come quello all’espressione, alla manifestazione e alla protesta.

Tra gli obiettivi della giornata dunque c’erano anche quelli di esigere alla Procura Generale della Repubblica (PGR) di ampliare gli orizzonti assai ristretti delle indagini; e denunciare l’atteggiamento della stessa, accusata di aver costruito una teoria investigativa che mira più a ridurre il danno d’immagine del governo e delle forze armate che a cercare la verità e a punire i colpevoli a tutti i livelli.

La riscostruzione della PGR, presentata alla stampa lo scorso 7 novembre dal procuratore Murillo Karam, è stata messa in discussione da più fronti. Dal mondo accademico e a quello delle organizzazioni per i diritti umani, sono state numerose le critiche, alcune delle quali assolutamente demolitrici, della versione dei fatti offerta dalla procura, la quale si fonda principalmente sulla confessione dei membri dei Guerreros Unidos, alcuni dei quali sono stati torturati da elementi della Marina e della Polizia federale, come denunciato dalla rivista Proceso.

Secondo questa versione (confermata dall’interrogatorio di Rodriguez Salgado, detto Terco o Cepillo, arrestato il 16 gennaio e accusato di essere tra gli autori del massacro dei normalisti), dopo essere stati fermati dagli agenti municipali su ordine dell’ex sindaco di Iguala José Luis Abarca, i 43 giovani sarebbero stati consegnati ai narcos alla presenza dell’ex segretario della Sicurezza Pubblica di Iguala Felipe Flores, e del subdirettore della polizia di Cocula Cesar Nava. In seguito, i sicari si sarebbero occupati di uccidere i normalisti e di bruciarne i corpi nella discarica di Cocula per poi gettare le ceneri, rinchiuse in borse di plastica nere, nel vicino fiume San Juan.

Secondo i numeri forniti di recente alla stampa da Zerón de Lucio, direttore dell’Agencia de Investigación Criminal (AIC) della PGR, sono ormai 98 i detenuti presuntamente legati alla strage e alla desapariciòn dei normalisti, e sono da poco partiti più di 200 ordini di cattura. Nonostante  questo, è forte lo scetticismo attorno alla versione ufficiale e sono molti gli aspetti oscuri e gli elementi poco convincenti rispetto ai risultati delle indagini, a partire dal fatto assai significativo che i capi d’accusa riguardino solo delinquenza organizzata, sequestro e omicidio e che nessuno dei detenuti sia imputato di sparizione forzata, che è un reato di lesa umanitá e pertanto imprescrittibile.

Anzi, ben lungi dal seguire protocolli e accordi internazionali in materia, gli inquirenti stanno cercando di cancellare dagli atti il reato di sparizione forzata. E lo fanno proprio sulla base del presupposto che i normalisti siano stati uccisi e che i resti ritrovati nella discarica siano i loro, utilizzando in maniera indebita i risultati delle analisi genetiche arrivati dall’Istituto di Medicina Forense dell’Università di Innsbruck lo scorso 20 gennaio.

Dei 17 frammenti ossei che gli inquirenti della PGR aveva spedito ai forensi austriaci, è  stato possibile identificarne solo uno, quello appartenente al ventunenne Alexander Mora. Per quanto riguarda gli altri, l’elevato calore cui sono stati sottoposti ha eliminato buona parte del materiale genetico impedendo la possibilità di analizzarli con i metodi tradizionali. Per questo, gli esperti di Innsbruck hanno chiesto e ottenuto dalla procura messicana il permesso di sottoporre i campioni ad una nuova tecnica, chiamata MPS  (Massively Parallel Sequencing) la quale, se da un lato potrebbe dare dei risultati migliori, dall’altro rischia di consumare definitivamente le prove senza ottenere l’obbiettivo dell’identificazione del materiale in questione.

Sostenere che questi elementi confermino la tesi della procura e stabilire, di conseguenza, che i normalisti sono morti e che i parenti debbano farsene una ragione, è evidentemente una forzatura. Intanto perché, come dichiarato già in due occasioni dall’Equipe Argentina di Antropologi Forensi che segue le indagini per conto dei familiari delle vittime, non ci sono prove né indizi del fatto che i resti di Alexander siano stati trovati nel fiume San Juan insieme ai frammenti che non é stato possibile identificare. I periti sostengono infatti che la borsa contenente il materiale sia stata aperta dagli inquirenti prima che i forensi indipendenti giungessero sul posto.

Inoltre, come segnalato da Jorge Antonio Montemayor, docente dell’Istituto di Fisica della Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM), e da altri esperti qualche settimana dopo la controversa conferenza stampa, non esistono prove scientifiche a conferma della tesi di Murillo. Il docente in questione, infatti, dimostra che incenerire 43 persone nel contesto della discarica nel modo descritto dalla procura sulla base delle confessioni estorte sotto tortura è scientificamente impossibile, e che se fosse stato fatto secondo la descrizione data dai sicari, sarebbero senz’altro rimaste delle prove sul terreno, considerando che sarebbero stati necessari ben 33 tonnellate di legna e 995 pneumatici, che avrebbe prodotto una fumarola visibile a chilomentri di distanza, nonché residui di ossa e cenere per oltre 300 chili. Montemayor giunge cosI alla conclusione che i giovani siano stati cremati in forni crematori professionali, i quali sono in possesso di privati o dell’esercito, chiedendo al governo di dare una risposta e agli inquirenti di fare chiarezza sulla questione.

Indagare sul ruolo dell’esercito e ispezionare le caserme sono state tra le prime richieste fatte dai familiari delle vittime, i quali conoscono bene la tradizione di violazione dei diritti umani e, in particolare, la pratica della sparizione forzata, che caratterizza le forze armate messicane soprattutto nello stato del Guerrero almeno dalla fine degli anni ’60. Una pratica ampiamente documentata anche da sentenze della Corte Interamericana dei Diritti Umani e della Corte Suprema, in due delle quali viene anche ordinata la ricerca dei desaparecidos nelle basi militari.

Tuttavia, non è solo a partire da analisi scientifiche e storiche che è nata l’esigenze di indagare l’esercito per la sua probabile partecipazione, per azione od omissione, nei fatti di Iguala. Fin dall’inizio, infatti, le testimonianze e i video degli studenti sopravvissuti – costantemente snobbate dalle autorità – hanno indicato la presenza di militari e polizia federale. A queste testimonianze si è aggiunta nei giorni scorsi la dichiarazione di López Catarino, padre Julio Cesar Lopez, uno degli scomparsi, il quale ha rivelato di aver investigato, grazie ad un conoscente che lavora nella polizia statale, il percorso seguito dal cellulare di suo figlio durante e di aver cosI scoperto che il giovane è stato all’interno della caserma del XXVII Battaglione di Fanteria di Iguala la notte della strage.

Ad indicare una possibile partecipazione dei militari e della polizia federale alla strage e al rapimento anche il fatto che entrambi i corpi di sicurezza sono venuti a conoscenza in tempo reale dei ripetuti attacchi ai danni dei normalisti grazie al sistema C4 (Centro di Controllo, Comando, Coordinamento e Computo) istallato a Chilapancingo per coordinare le diverse forze di polizia nella lotta alla criminalità. Un meccanismo grazie al quale, l’allarme causato da una sparatoria viene immediatamente comunicato alle forze di polizia dei diversi livelli di governo. Questo significa che la notte della strage, Marina, Esercito, Polizia statale e federale, nonché Ministero degli interni erano al corrente da subito di quanto stava succedendo ad Iguala e che, quanto meno, hanno deciso di non intervenire per fermare il massacro. Anche Amnesty International e Human Rught Watch considerano che l’ipotesi ufficiale sia molto debole ed abbia poco rigore scientifico ed  invitano la PGR ad aprire linee investigative che considerino la possibilità di una partecipazione di militari e agenti federali.

Dopo mesi di pressione davanti alle caserme, costati manganellate e feriti in almeno due occasioni, familiari e normalisti hanno ottenuto di poter far entrare una loro delegazione, accompagnata da funzionari della CNDH, all’interno del XXVII battaglione di Iguala. La decisione è stata presa dal ministro degli interni Osorio Chong dopo l’incontro con genitori del 13 gennaio, e rappresenta senz’altro una vittoria del movimento. Tuttavia, mentre secondo i parenti delle vittime si tratterà della prima di una serie di ispezioni che li porterà in tutte le caserme del paese, per il ministro dovranno accontentarsi della visita ad Iguala. Insomma, su questo come su altri punti, le posizioni di governo e comitato dei genitori delle vittime sono agli antipodi.

Durante gli interventi di chiusura della manifestazione di ieri di Città de Messico diversi portavoce hanno sostenuto che il movimento si occuperà di boicottare le elezioni di metà mandato che si terranno il prossimo 7 giugno. Nello stato del Guerrero l’obiettivo è quello di impedirle e si sono già tenute diverse iniziative durante le quali sono stati sanzionati gli uffici dell’INE (Instituto Electoral Nacional) che si sta occupando di organizzare il suffragio. “Votare significa votare per il crimine organizzato” ha sintetizzato dal palco Felipe de la Cruz, si tratta invece di iniziare a costruire le condizioni per un cambiamento reale che parta dal basso, senza bisogno dei partiti.  

 

Per questo, genitori e compagni dei normalisti propongono di approfondire il dialogo tra le diverse realtà e organizzazioni sociali del paese, iniziato con le carovane informative che nei mesi scorsi hanno toccato varie regioni del Messico e proseguito durante le feste grazie al Festival delle Ribellioni e delle Resistenze Contro il Capitalismo lanciato dall’EZLN e dal Congreso Nacional Indigena, nel corso del quale è emersa la necessità di creare un movimento nazionale per far cadere il governo e di iniziare a lavorare alla costruzione di un processo costituente che nasca dal basso mettendo insieme le differenti lotte che animano il paese. È questo il progetto sotteso alle iniziative assembleari lanciate dal movimento per il prossimo 31 gennaio alla scuola Isidro Burgos di Ayotzinapa, dove si svolgerà la decima Asamblea Nacional Popular; e per il 5 febbrario (data in cui viene ricordata la Costituzione del 1917, che contiene importanti conquiste sociali prodotto della rivoluzione), quando si riunirà a Chilpancingo la Convención Nacional Popular, dove si inizierà a ragionare sulla possibilità di un processo costituente. 

* Da Città del Messico

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