“Erano così pochi che da domani Casapound si chiamerà Casapenny”, sorridono i manifestanti antifascisti mentre tornano dal Colosseo. Alla fine di una giornata che si preannunciava complicatissima, il dato riconosciuto da tutti è uno: la contromanifestazione del fronte democratico contro i “fascisti del terzo millennio” è stata un successo.
“Indiscutibile – scrive Ugo Maria Tassinari su fascinazione.info – il successo degli antifascisti che, nonostante le dichiarazioni bellicose del Prefetto, sul rispetto della legge in piazza (con minaccia di denuncia per chi avesse usato i caschi) hanno tranquillamente tenuto un corteo non autorizzato, prendendosi un pezzo del percorso originariamente concesso a Casapound, sfilando dall’Esquilino al Colosseo, per poi finire nel santuario di San Lorenzo”.
Mentre in via Napoleone III si ragiona su come riuscire a trasformare in successo una manifestazione da 6mila persone (dicono loro, in realtà non erano più di 3mila, al massimo), “tutti gli altri” sono tornati a casa soddisfatti, grazie anche alla presenza degli studenti che, dopo i cortei mattutini, si sono riversati in massa all’Esquilino per il presidio antifascista, riuscendo addirittura a prendersi – senza l’autorizzazione – parte del percorso inizialmente scelto da Iannone e soci.
Blindatissimo, invece, il corteo di Casapound che si è svolto nel quartiere Prati, con tanto di servizio d’ordine munito di auricolare e guanti neri che non faceva avvicinare nessun giornalista ai manifestanti, mentre per tutto il corteo – lungo qualche centinaio di metri – venivano distribuiti volantini con gli slogan da scandire e le bandiere da sventolare che da lontano creavano un curioso effetto ottico tipo “onda rossa”, in tutto e per tutto simile a un’adunata della Cgil.
Ma i quadri dirigenziali del movimento, pur ostentando entusiasmo, si aspettavano qualcosa di più: se un’organizzazione nazionale, con sedi in moltissime città d’Italia, dopo una levata di scudi virtuale imponente e martellante, riesce a portare in strada poche migliaia di persone, parlare di successo pare un po’ eccessivo.
Tanto più per il clamore mediatico che “Italia in marcia” era riuscita a scatenare, con discussioni e titoli di giornali che si sono rincorsi per settimane. Se la giornata di sabato doveva essere la chiamata alle armi per gli ipotetici elettori della nuova destra (o “estremo centro alto”, come dicono loro), le prospettive alle urne non sono poi così incoraggianti e il rischio è di fare la fine di Forza Nuova: tanto rumore prima e zero virgola niente alle elezioni. Questo rischio, in realtà, gli uomini di Casapound lo hanno messo in conto da un po’ di tempo, è per questo che le regionali del Lazio serviranno soprattutto a capire quale margine di trattativa potrà esserci dopo con le altre forze di destra più o meno estrema.
Tra un po’ di musica nostalgica (l’Inno a Roma, su tutti) e qualche puntata su Lucio Battisti e Rino Gaetano (sic), il leader Gianluca Iannone – in testa al corteo, con una guardia del corpo a tallonarlo metro dopo metro – trova il tempo per spiegare ai cronisti il senso della sua missione: “Voglio essere libero di rifarmi a Benito Mussolini, alla sua filosofia e alla sua idea di stato sociale”. E ancora, dal palco allestito in piazza di Ponte Milvio: “Corteo bellissimo, la nostra è una forza tranquilla. Faremo vedere quello che siamo a livello cittadino, regionale e, chissà, anche nazionale. Siamo la foresta di Sherwood, e lo sceriffo di Nottingham farà di tutto per fermarci”. Applausi scroscianti, per lui e, in mezzo al corteo, per Mario Vattani, il console “nazirock” di Osaka.
Ma alla “prova di forza” è mancata proprio la forza, la sensazione è che a Roma si siano rivisti i soliti camerati – i “pochi liberi combattenti”, ancora per citare le loro parole – e il tanto auspicato boom non si sia ancora registrato. L’obiettivo finale, infatti, era di mostrare i muscoli e far vedere agli ipotetici alleati la potenza “turbodinamica” dei fascisti del terzo millennio. Operazione non riuscita. Casapound traballa e lotta per non crollare del tutto – o peggio, rimanere confinata nel limbo delle organizzazioni giovanili, ‘simpatiche’ e ininfluenti –, ma adesso il suo potere contrattuale con le altre forze di destra si è ridotto assai.
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